Puglia. Intervista al testimone di giustizia Dipalo: “Isolato perchè ho denunciato la mafia”
di Vincenzo Arena
Di Francesco Dipalo e della sua vicenda abbiamo parlato ampiamente nelle scorse settimane. Francesco, altamurano ed ex imprenditore, è testimone di giustizia chiave nel processo contro la mafia murgiana che per anni ha vessato lui, la sua famiglia, la sua impresa. Abbiamo raggiunto per mail Francesco Dipalo che vive oggi, con la sua famiglia, in località segreta e siamo riusciti a sottoporgli alcune domande. Lo ringraziamo per la sua disponibilità e diamo voce alla sua storia di uomo del sud coraggioso, capace di rinunciare alla propria vita in nome della legalità e della giustizia. Un uomo normale, di quella sana normalità cui dovrebbero inchinarsi tanti piccoli uomini delle istituzioni e della politica.
Quando e come è cominciata la sua drammatica esperienza con la malavita murgiana? L’hanno avvicinata subito per chiederle il pizzo o le richieste erano altre? All’inizio come ha reagito?
Tutto è cominciato quando il mio avvocato nel 2001 mi chiese di assumere nella mia azienda il fratello del boss Bartolomeo Dambrosio. Io non sapevo neanche chi fosse Bartolomeo Dambrosio, fu il mio avvocato che mi riferì che era il capo indiscusso di una organizzazione criminale che operava su Altamura, che era molto pericoloso e che se non assumevo suo fratello avrei dovuto aspettarmi ritorsioni e pagare la “protezione” come altri imprenditori. Lo assunsi, ma dopo alcuni mesi il fratello del Dambrosio si dimise dalla mia azienda. Da quel momento fui costretto ad adeguarmi al sistema cominciando a pagare la “protezione”.
Quando ha deciso di denunciare e perchè? Le forze dell’ordine e la magistratura hanno supportato subito le sue denunce?
Decisi di ribellarmi rivolgendomi ai Carabinieri di Altamura ai quali esposi tutti i fatti, ma non succedeva nulla. La mia azienda era localizzata nella zona industriale Jesce in territorio di Matera, e quindi decisi di rivolgermi alla Questura di Matera dove denunciai nuovamente i fatti, ma non succedeva nulla. Dopo una mia decisa insistenza nei confronti degli uomini della Questura ai quali chiedevo notizie sullo stato delle indagini, fui indirizzato da un ispettore della squadra mobile dal pubblico ministero titolare del fascicolo che mi disse che non aveva tempo da dedicare alle mie denunce perché carico di lavoro. Nel frattempo continuavano le ritorsioni da parte del clan con brutali aggressioni sia nei miei confronti che nei confronti dei miei famigliari, e delle indagini da parte della procura della Repubblica di Matera, niente. Poi una sera in azienda diedero fuoco all’auto di mia figlia cospargendo di combustibile anche la mia auto, intervennero i Carabinieri, e il fascicolo delle mie denunce passò poi nelle mani di un altro pm sempre della procura di Matera che convocò me e mia moglie chiedendomi di esporre i fatti. In quella circostanza riferii al pm che dovevo esporre i fatti dall’inizio degli eventi estorsivi per far capire chi erano i miei estorsori. Ma il pm rispose “signor Dipalo ma cosa crede che qua dobbiamo fare notte con lei oggi…”. E anche con quel pm nulla di fatto. Poi successivamente fui convocato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari dalla dottoressa Desirèe Digeronimo. Ricordo che era dicembre 2008 nel pieno delle festività natalizie, in una procura praticamente deserta lei era dietro la sua scrivania che ascoltava me, ho parlato per ore. Fu allora che capii che finalmente un magistrato avrebbe dato inizio alle indagini. Quando tornai a casa da mia moglie dissi “vedrai che adesso avremo giustizia”. Avevo sentito parlare della dott.ssa Digeronimo e sapevo che era un pm he aveva assicurato alla giustizia e fatto condannare centinaia di criminali. Mi ero reso conto che non si sarebbe fermata con le indagini anche se tra gli indagati c’erano politici, avvocati, imprenditori, carabinieri, oltre che Dambrosio con i suoi affiliati. Ad essere sincero solo in una occasione ho avuto il timore che tutto potesse dissolversi nel nulla. Mi riferisco alla lettera aperta che il 6 agosto del 2009 il governatore Nichi Vendola indirizzò alla dottoressa Digeronimo (Vedi: Press Regione Puglia del 7 agosto 2009) attaccandola brutalmente e chiedendole di astenersi dalle indagini perché in qualche modo il suo nome pare fosse finito nei fascicoli delle indagini su Altamura, in particolare per suoi presunti rapporti con un noto imprenditore di Altamura al centro di alcune indagini. La dottoressa Digeronimo dimostrò nuovamente anche in quella occasione che non si sarebbe fermata con il suo lavoro.
Si sono svolte a novembre e a gennaio le udienze preliminari del processo alla mafia murgiana. Il processo coinvolge mafiosi, politici e anche rappresentanti delle forze dell’ordine. Ad aprile comincerà il procedimento contro sei di loro che hanno chiesto il rito abbreviato. Cosa si aspetta da questo processo?
A gennaio del 2013, il gup del tribunale di Bari, il dott. Gianluca Anglana ha rinviato a giudizio tutti gli indagati. Sei degli imputati hanno scelto il rito abbreviato, mentre altri nove sono stati rinviati a giudizio con il rito ordinario. Le accuse sono a vario titolo di associazione mafiosa, lesioni personali, violenza privata, estorsione, usura, favoreggiamento personale. Il processo comincerà ad Aprile e mi aspetto una sentenza di condanna nei confronti di tutti gli imputati con la quale si metterà fine ad una stagione di sangue, di violenze, di terrore e di paure che ha avvolto il territorio murgiano.
Quando è cominciato il suo programma di protezione quale testimone di giustizia, che ha significato in termini umani per lei e la sua famiglia? Che significa essere testimone di giustizia oggi in Italia? I testimoni di giustizia vengono supportati e tutelati come dovrebbero dallo Stato?
Nel 2009 io e i miei familiari siamo stati inseriti in un programma di protezione e trasferiti in una località protetta. Quello è stato un altro momento drammatico per me e la mia famiglia. Una mattina all’alba si sono presentati a casa i carabinieri che a bordo di due auto blindate ci hanno portato in una prima località segreta. Quel giorno non lo dimenticheremo mai. Ma mano che le auto si allontanavano dalla nostra abitazione, aumentava la consapevolezza che non saremmo più tornati, nessuno di noi sapeva quale sarebbe stata la destinazione, è stato un momento davvero triste, ricordo che per tutto il viaggio nessuno di noi ha detto una parola. Poi quando siamo arrivati a destinazione non c’è voluto molto a capire che eravamo stati catapultati in una realtà che non ci apparteneva. L’impatto emotivo e psicologico è stato davvero devastante per tutto il nucleo famigliare, in particolare per i miei figli che hanno dovuto rinunciare a tutto. Poi ti rendi conto che per lo Stato non sembri essere altro che un pezzo di carta con un numero di protocollo che va da una scrivania ad un’altra nelle mani di alcuni funzionari a volte privi di umanità, sensibilità e che paiono non fare nessuna distinzione tra un testimone di giustizia e un collaboratore di giustizia, ossia un pentito. I primi giorni non si faceva altro che piangere e pensare a cosa saremmo andati incontro. Ciò che mi dava la forza di andare avanti era la speranza di avere giustizia.
Politica e malavita. Come giudichi questo intereccio in Puglia? Le istituzioni e la politica più in generale fanno abbastanza per contrastare le mafie dalle nostre parti?
Prima del trasferimento in località segreta ho dovuto sopportare anche l’isolamento di una parte della comunità e di tutti gli esponenti politici che hanno preso le distanze da me e dalle mie denunce elogiando invece il boss Bartolomeo Dambrosio quando è stato ammazzato nel settembre del 2010. Alcuni assessori, il sindaco, consiglieri comunali lo hanno definito una brava persona, mentre il presidente del consiglio comunale ha dichiarato alla stampa che il Bartolomeo Dambrosio era una persona che faceva del bene. (Vedi: Ansa del 13 dettembre 2010 – Boss ucciso ad Altamura: Mantovano, politica prenda distanze). Il tenore delle dichiarazioni è stato confermato dalla mancata costituzione di parte civile nel procedimento penale in corso da parte del Comune di Altamura. Anche il governatore Vendola ha preso simbolicamente le distanze da tutte le vittime del clan non costituendosi parte civile. Per Vendola era più importante cercare di delegittimare il pm che schierarsi con tutti gli Altamurani onesti che per oltre un decennio hanno disperatamente chiesto di essere liberati da una pericolosa organizzazione criminale. Questa è la realtà della nostra amata terra, chi non si piega al potere criminale, deve sopportare anche l’isolamento delle istituzioni locali. Dopo le mie denunce, il sindaco, i consiglieri comunali, anche un consigliere regionale mi hanno negato il saluto. Se la politica continua a dichiarare guerra ai magistrati e a isolare chi denuncia non andremo molto lontano nella lotta alle mafie.