Scontri Istanbul: quello che i mezzi di informazione non dicono… lo dice Twitter
di Alessandra Vitullo
“Il popolo turco, nostro fratello, non merita tale barbarie e non vi è alcuna cosa che giustifichi il fatto che Erdogan sfidi la sua gente”. È il paradossale commento del Ministro dell’Informazione siriano, Omran al-Zohbi, alla violenza con cui la polizia sta reprimendo le proteste scoppiate negli ultimi giorni in Turchia.
Da quando lo scorso 11 maggio l’esplosione di due autobombe aveva causato la morte di 43 persone nella città di Reyhanli al confine tra Siria e Turchia, l’emergenza siriana sembrava essere l’unica impellente preoccupazione della politica di Erdogan; ma gli episodi degli ultimi giorni hanno finalmente messo in luce tutte le contraddizioni, gli attriti e forse la vera natura, di un governo che da tempo è sempre più incline verso una svolta autoritaria.
Il Paese interlocutore privilegiato dell’Occidente, l’auspicato modello-guida per l’Oriente, ha rilevato tanto inaspettatamente, quanto violentemente, un malessere, abilmente celato dai media nazionali, che serpeggiava ormai da tempo all’interno della società turca. Neanche due settimane fa erano stati i Giovani Turchi a manifestare, sempre a Istanbul, il loro dissenso contro il governo di Erdogan e, anche in quell’occasione, erano stati dispersi dalla polizia.
Anche in questi giorni i mezzi d’informazione hanno continuato a nascondere prima le reali dimensioni del movimento di protesta, poi l’importanza, circoscrivendola alla difesa di alberi secolari, e infine la violenza della repressione. Mentre a Istanbul scoppiava quella che in molti hanno definito una “guerra civile”, la tv nazionale trasmetteva l’ultima soap opera di successo; così, ancora una volta è toccato a Twitter il duro lavoro di informare. Già al secondo giorno di proteste, infatti, sul social network si parlava di probabili vittime, di centinaia di feriti e di migliaia di arrestati, mentre trasmetteva le strazianti foto dei feriti. Solo ieri, invece, e solo Amnesty, ha parlato finalmente dei 2 morti e dei brutali metodi usati dalla polizia: lacrimogeni sparati ad altezza uomo, che trasformano in proiettili le capsule di apertura.
Seguendo solo uno degli ashtag più utilizzati su Twitter in questi giorni,#occupygezi, si possono trovare i blog e le immagini che raccontano, come nessun canale di informazione mainstream internazionale sta facendo, la vera gravità degli scontri, che se prolungati potrebbero andare ben oltre il semplice scontro piazza-governo. Sembrerebbe infatti che l’esercito stesso stia munendo i manifestanti di maschere antigas. Insomma al momento Twitter sembra una storia già letta, che cambia solo #Tahrir in #Taksim.