Economist. “Se le donne ce la fanno, ce la fa l’intera società”
di Daniela Silva
Una donna su tre, compresa nella fascia di età tra i 35 e i 45 anni, è parte attiva del mondo del lavoro italiano. È quanto si evince da una ricerca svolta, recentemente, dall’Istat. Risulta comunque che, la quasi parità numerica con gli uomini, è raggiunta solo tra le ragazze più giovani, non coniugate e senza figli. Ciò a conferma del fatto che, molti datori di lavoro, mettono in atto pressioni affinché le neo-mamme si licenzino. Infatti, per chi riesce a rimanere nel mondo del lavoro, anche una volta avuto un figlio, le azioni di scoraggiamento risultano sistematiche e ripetute. Si evidenzia, inoltre, che nell’arco di tre anni il 46% delle lavoratrici con un contratto a tempo determinato è riuscita a conquistarne uno a tempo indeterminato, a fronte di due uomini su tre.
Tutto ciò nonostante nelle università americane, ad esempio, il rapporto tra uomini e donne è di 6 a 4 in favore del gentil sesso, mentre quello dei laureati è ancora più sbilanciato in favore delle ragazze. Sembra che, almeno gli americani secondo l’Economist, abbiamo compreso che escludere ben la metà della popolazione dalla produttività del Paese sarebbe una scelta autolesionistica.
Questi grandi numeri però, non sono ancora così evidenti nelle retribuzioni, ancora frenate dalla contraddizione, evidente anche oltre-oceano, fra maternità e lavoro. Questo panorama è decisamente più evidente se si considera che le donne americane non godono di un sostegno pubblico per la cura dei bambini, come invece accade in altre nazioni, ad esempio quelle scandinave. Questo senso di arretratezza viene a galla anche parlando del raggiungimento di posizioni di potere all’interno delle grandi aziende pubbliche e private, ma anche a livello politico.
Basti pensare ai ministri donna che sono ormai una realtà ed a Hilary Clinton, il terzo segretario di Stato donna nella storia statunitense, senza dimenticare però che la sua ambizione presidenziale fu respinta. Paradossalmente poi, anche a così alti livelli, continuano le forti disparità nei salari. Tra le presidenti ed amministratrici delle maggiori aziende le retribuzioni, seppur succulente, sono decisamente al di sotto di quelle dei pari grado uomini. Come non ricordare, ad esempio, la donna più pagata al mondo, Indra Nooy, chief executive della Pepsi, che oggi incassa 13milioni di dollari l’anno, ma che comunque occupa solo il 149esimo posto nella graduatoria dei capi d’azienda americani.
Enormi cambiamenti sono stati fatti nel corso della storia, ma questo mondo che tutti dicono essere “donna” ha, evidentemente, ancora un enorme fiocco azzurro che pesa sulla società moderna.