Bankitalia e Bce: sono i giovani a pagare la crisi. E l’Ocse conferma
di Daniela Silva
I salari italiani sono tra i più bassi dei Paesi avanzati e nel nostro Paese è aumentato il rischio di povertà. A rivelarlo è l’Employment Outlook 2011 dell’Ocse, secondo il quale nel 2010 l’Italia, con un salario medio annuo lordo di circa 26.900 euro, in crescita dello 0,8% rispetto al 2009, si colloca sotto la media dei Paesi Ocse, circa 35.480 euro, +0,7%, e dell’Europa a circa 32.850 euro, -0,3%, ma comunque davanti a Spagna e Grecia.
Il tasso di disoccupazione italiano è cresciuto di 2,5 punti percentuali tra l’inizio della crisi, nel secondo trimestre del 2007, e il primo trimestre del 2010 quando ha raggiunto l’8,5%. Secondo il Rapporto, la crisi ha colpito duramente i giovani compresi tra i 15 e i 25 anni. Nella fase di recessione il tasso di disoccupazione giovanile è aumentato di 9,7 punti percentuali, raggiungendo il 28,9% nell’aprile 2010. Inoltre il declino della disoccupazione appare dovuto interamente alla creazione di posti di lavoro con contratti a termine o atipici, inclusi i cosiddetti collaboratori, mentre il numero di posti con contratto indeterminato tende ancora a contrarsi. In particolare, tra il primo trimestre del 2010 e il primo trimestre del 2011, il numero di lavoratori con contratto permanente e a tempo pieno risulta essersi ridotto ancora di 72mila unità. Questo suggerisce che il mercato del lavoro italiano sta diventando più segmentato, con lavoratori in età matura in impieghi stabili e protetti e molti giovani senz’altro sbocco immediato che posti più precari.
Il Rapporto annuale sull’occupazione dell’OCSE suggerisce che per promuovere una più rapida creazione di posti di lavoro e ridurre il dualismo, si dovrebbe varare un’ampia riforma dei contratti di lavoro.
Nel rapporto si rileva come, rispetto ad altri Paesi Ocse, in Italia il sistema di tasse e trasferimenti gioca un ruolo minore nel proteggere le famiglie contro le conseguenze di grandi contrazioni del reddito da lavoro. Grandi riduzioni del reddito da lavoro individuale, ad esempio in caso di perdita del posto di lavoro, tendono a tradursi in contrazioni di reddito disponibile familiare superiori a quelle osservate negli altri Paesi Ocse. Ciò a causa della limitata azione di assorbimento degli shock operata dagli ammortizzatori sociali. Ad esempio, si legge nel rapporto, se il reddito individuale si contrae del 20% o più su base annuale, in Italia il 68% di questa riduzione si riflette nella compressione del reddito disponibile della famiglia, contro il 47% in media negli altri Paesi dell’Eurozona.
Cifre così non potevano certo lasciare indifferenti gli italiani, come ad esempio il neo numero uno della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Al congresso dell’associazione magistrati minorili l’Aimmf, che si svolge a Catania, l’economista ha lanciato l’allarme: i salari di ingresso nel mercato del lavoro sono oggi, in termini reali, su livelli pari a quelli di alcuni decenni fa. Secondo Visco quindi i giovani che si affacciano oggi sul mercato del lavoro sembrano esclusi dai benefici della crescita del reddito occorsa negli ultimi decenni. Un allarme condiviso dalla Cgil, che dopo le parole del governatore detta le cifre del fenomeno: lo stipendio di un neolaureato non supera i mille euro al mese, una cifra attorno alla quale non si schioda da un decennio. Il sindacato diffonde i dati di un rapporto Ires, elaborato tra gli altri dal presidente della Fisac, Agostino Megale.
Secondo la Cgil, negli ultimi otto anni, per stare alle cifre, la retribuzione media percepita da un giovane ad un anno dalla laurea è rimasta intorno ai mille euro mensili, con una crescita di soli 23 euro. Si è quindi passati dai 981 euro al mese del 2003 ai 1.004 euro del 2010, dopo aver toccato la “punta” di 1.050,00 euro nel 2008. La media delle buste paga per i neolaureati è salita di soli 2,3 punti percentuali, rimanendo, pertanto, quasi invariata e comunque nettamente al di sotto dell’inflazione e producendo di conseguenza una grave perdita del potere d’acquisto.
Il governatore a Catania avrebbe sottolineato che l’economia cresce di più dove le leggi sono meglio rispettate, che le leggi sono rispettate dove la gente è più istruita; infine, che il ritardo di sviluppo del nostro Sud sul Nord può essere dovuto in gran parte alla criminalità organizzata.
Sembra quasi assurdo che un Paese tratti i suoi giovani così male. Il declino che tanto temiamo per il futuro probabilmente è già in atto. Pare, inoltre, che essersi sforzati negli studi porti poca ricompensa: rispetto agli altri Paesi, la differenza di paga tra chi è laureato e chi no è infatti molto bassa.
Cifre, numeri, interventi, dichiarazioni sembrano aver lanciato un allarme che anche il governatore della Bce, nonché ex di via Nazionale, ha ripreso e commentato. Anche Mario Draghi, infatti, ha sottolineato che le difficoltà dei giovani sono preoccupanti, dal momento che le loro prospettive sono incerte e si sta mettendo a rischio il loro futuro e quello del Paese. Il numero uno della Banca centrale europea, in un convegno a Sarteano, in provincia di Siena, avrebbe evidenziato come, specialmente nel nostro Paese le prospettive di reddito delle nuove generazioni sono più che mai incerte; il loro contributo alla crescita è frenato in vario modo dai nodi strutturali che strozzano la nostra economia. Si stanno sprecando risorse preziose e stiamo mettendo a repentaglio non solo il loro futuro, ma quello del Paese intero.
In conclusione, tutti sembrano essere d’accordo sul fatto che, come augurato da Visco a Catania, il Paese deve tornare a crescere. Secondo il governatore bisognerebbe innalzare il potenziale di crescita e ciò richiede interventi ad ampio spettro. Servirebbe, pertanto, una riforma degli istituti di governo dell’economia per stimolare l’attività d’impresa e l’inserimento durevole nel mondo del lavoro, soprattutto delle donne e dei giovani. Anche secondo Draghi la priorità assoluta della politica economica devono essere le riforme strutturali, indispensabili per uscire dalla stagnazione. È questo il monito del numero uno di Francoforte, secondo cui bisogna uscire dalla stagnazione riavviando lo sviluppo con misure strutturali, è questa oggi la priorità assoluta della politica economica nel nostro Paese.