Musica e rete: quale futuro? L’esperienza di Sostanze Records
di Tiziano Aceti
Che la Rete costituisca un potente mezzo è fuori discussione, ma comprenderne a pieno i cambiamenti e le dinamiche che la governano è molto più complesso. Tra i settori dell’industria culturale quello musicale è stato sicuramente scosso in maniera evidente dalla potenza della digitalizzazione. E’ facile rendersene conto: basta guardare al proprio quotidiano e a come tutti noi usufruiamo della Rete e delle nuove tecnologie per godere della musica. La musica viene fruita, acquistata, prodotta e consumata in modo del tutto nuovo rispetto a dieci anni fa: è possibile accedere alla musica ovunque attraverso molteplici piattaforme.
La rete ha consentito a tutti, anche ai non professionisti del settore, di poter promuovere e far ascoltare le proprie creazioni: prodotti amatoriali, i cosiddetti user genereted contents, che possono essere fruiti anche gratuitamente.
In questo modo l’industria musicale si trova a fronteggiare una situazione molto complessa, che via via sta trasformando la stessa idea di industria musicale. La Rete sembra, con le enormi opportunità che offre, ridisegnare i tratti dell’industria e del relativo indotto e soprattutto sembra aver modificato le tradizionali dinamiche di promozione e distribuzione.
Per approfondire l’argomento, Mediapolitika ha contattato Sostanze Records (www.records.sostanze.it), un’etichetta che distribuisce musica in formato digitale e che usa le Rete per condividere la musica senza alcun tipo di vincolo. Un’etichetta che condivide i prodotti musicali di artisti che aderiscono al progetto e promuove le proprie attività in maniera totalmente gratuita.
Gli amministratori della piattaforma Sostanze Records ci hanno fornito un quadro dettagliato degli attuali scenari della musica in rete.
Cos’è Sostanze Records? Come nasce e quali scopi si prefigge?
Sostanze Records è un progetto nato grazie ad alcuni membri dell’Associazione di promozione sociale e culturale Sostanze. La netlabel “Sostanze Records” nasce proprio da un’esigenza dei nostri artisti di esprimersi anche al di fuori degli eventi che organizzavamo, dove 40 minuti di esibizione dovevano essere sufficienti per dimostrare che c’è ancora fermento nell’ambito della musica elettronica autoprodotta. Proprio per questo volevamo dare molto più spazio alle nostre creazioni anche dopo le serate ma MySpace e sitarelli vari con player incorporato “ci andavano troppo stretti”, e in più volevamo far in modo che la gente si interessasse veramente a noi, a quello che facciamo e quello che produciamo, attraverso una vera e propria fidelizzazione del fan grazie al nostro sito.
Cosa ne pensate dell’attuale scena musicale indipendente italiana? In che modo questa scena sfrutta la rete?
Quale scena musicale indipendente italiana? Bisogna partire dal presupposto che questo appellativo “indipendente” è ormai stra-inflazionato. Non è una condizione, ma una scelta. Non si è indipendenti solo perché si fa il primo album in casa (giusto perché non si posseggono i mezzi per farlo in studio) e poi al secondo ci si trova sugli scaffali di un qualsiasi negozio di dischi perché la major di turno ti ha adocchiato vedendoci il business. Ad essere sinceri, tutta questa indipendenza nella scena musicale in generale non è che la vediamo… anzi, viene solo sfruttata momentaneamente, quasi di passaggio, sperando poi che ci sia sempre qualcuno che peschi nel calderone degli “artisti indipendenti”. Quando diciamo “indipendente”, non possiamo fare a meno di pensare a tutte le netlabel e le webradio che operano su internet solo per il piacere di farlo, allora sì che si può parlare di indipendenza. Fanno interi programmi anche di un’ora passando solo brani rilasciati in creative commons, per quanto riguarda le webradio. Invece le netlabel rilasciano ottima musica in copyleft in rete. Questo sì che è il modo giusto di sfruttare internet: non siamo lì con banner pubblicitari o adverts vari a pregarti di comprare il cd o ad intasarti la casella di spam solo perché sfortunatamente hai cliccato su qualche pubblicità sbagliata. Alla fine l’utente si trasforma in cliente: non è questo il giusto modo di ripagare internet che è il mezzo di comunicazione più potente al mondo e gratis soprattutto! E non è questo che vogliamo ricevere in cambio noi da internet. Preferiamo l’utente che ci scopre e si appassiona e alla fine ci segue. Se non fosse così va bene lo stesso, noi continueremo sempre a farlo perché non possiamo fallire o andare in banca rotta, finché vogliamo, facciamo e lo facciamo quando vogliamo: così siamo indipendenti. La rete deve essere sfruttata nella sua completezza più potente ed autonoma, lasciando perdere siti come Beatport ed iTunes che mercificano un qualcosa di invisibile, dimenticando che qualsiasi forma di pagamento su formati fisici musicali (CD/vinile/music-cassette) è oramai defunta da un decennio. Nel 2011 il 30% del mercato discografico mondiale è digitale, nel 2004 era il 6%. In tutto questo però vogliamo specificare che non siamo contro gli artisti che vendono la propria musica, anch’essa è una scelta e si è liberi di farlo. Critichiamo il modo in cui lo fanno, non c’è abbastanza informazione, le creative commons non vietano di fare nulla di quello che un normale copyright ti può offrire, ti danno le stesse garanzie e molta più duttilità. Allora qual è il problema? Il problema è che la gente non si informa e di conseguenza pensa ancora che pubblicare gratuitamente voglia dire essere artisti di serie B. Gran parte degli artisti sono disinformati riguardo alle licenze creative commons, pertanto si affidano alla SIAE per tutelare i propri brani e si avvicinano a realtà come Beatport o altri canali per la vendita. Entrambe le figure sono ingannevoli: una ti protegge, l’altra ti fa vendere, quando in realtà sono loro le prime a lucrare sull’operato dell’artista lasciandogli le briciole.
La scelta di un’etichetta indipendente dipende solo ed esclusivamente dal proporre generi musicali che alle grandi major non interessano o ci sono altri fattori che determinano questo tipo di scelta?
Ci sono molti fattori, tra i principali il DIY e la voglia di usare canali liberi come la rete per arrivare direttamente a casa del consumatore con pochissimi passaggi, eliminando i forvianti meccanismi tra l’autore, l’editore, il discografico e il distributore, del vecchio sistema CD/Vinile. La questione dei generi è consequenziale, perché le major si rivolgono principalmente ad un pubblico musicalmente massificato che non rappresenta il pubblico che cerchiamo. Per quanto riguarda Sostanze Records, non siamo alla ricerca di generi in voga al momento, giustificando la scelta con l’etichetta “musica di nicchia”, e di certo non stiamo a rovistare tra gli scarti delle major. Proponiamo quello che ci piace, siamo ormai un gruppo affiatato – tra artisti di Sostanze Records e soci dell’Associazione di promozione sociale – che settimanalmente si incontra per parlare delle demo che ci sono arrivate o per proporre artisti nuovi scovati sulla rete. Decidiamo a maggioranza: se piace, la pubblichiamo a prescindere dal genere, tant’è che è difficile etichettarci con un solo genere, basta guardare il catalogo delle release, variamo dalla chill-out, idm alla drum and bass passando per la breakcore. Quello che cerchiamo invece non è tanto nel genere, ma nell’artista, chiedendo espressamente se è convinto di far parte di questo progetto e crede nella nostra politica affinché ci possa essere continuità anche dopo la pubblicazione della sua prima release.
Cosa ne pensate del futuro del CD come supporto fisico sul quale è possibile ascoltare la musica? Diventerà un oggetto per soli collezionisti, soppiantato dalla musica “liquida” ascoltabile su varie piattaforme?
Il cd ormai è un supporto morto, basti pensare a quante volte si fa il gesto di inserire un cd per ascoltare musica, ormai neanche più nello stereo della macchina. Per questo le major sono destinate al fallimento: continuano a vendere un oggetto obsoleto a prezzi assurdi. Oggi la velocità con cui si muove il mercato musicale impone lo streaming ed il file sharing come mezzo invisibile di supporto e propaganda: chi si adegua sopravvive. Quello che intendiamo dire è che tutte le più grandi etichette, invece di adattarsi a questo repentino cambiamento nel modo di fruire la musica, l’hanno contrastato in tutti i modi mettendo in mezzo avvocati e leggi che non possono attecchire su un mondo virtuale ed è per questo che il music biz tradizionale è morto e con esso tutte le specie che ne hanno caratterizzato il genere. E’ l’evoluzionismo.
Quali opportunità offre la rete a chi vuol proporre e far conoscere la propria musica?
Chiaramente offre un mare di possibilità in più rispetto al vecchio sistema discografico, basta sapersi muovere nel modo giusto. Importante è capire che grazie ad internet i passaggi tra il consumatore, l’autore e l’etichetta sono diminuiti notevolmente. Questo vuol dire che l’autore ha maggiore controllo sulle proprie produzioni, l’etichetta promuove più facilmente e velocemente anche artisti emergenti, e il prodotto che arriva al consumatore non è filtrato da decine di passaggi di un sistema corrotto: SIAE, Editore, Discografico, Media (Tv e radio in FM che trasmettono per il 90% materiale preso da major). Soprattutto il prodotto arriva a casa dell’utente completamente gratuito e genuino, e ciò incentiva i consumatori finali a supportare i propri artisti nella maniera più antica e importante: il live! Questo è un nostro obiettivo, far tornare il musicista a suonare dal vivo le proprie creazioni e a vivere di ciò, siamo stanchi di vecchi autori di 70 anni che guadagnano milioni di euro per diritti di canzoni scritte 50 anni fa, questo sistema è malato e la rete ci ha dato la possibilità di combatterlo!
Intervista molto interessante, condivido in particolar modo il tornare a guadagnare sulle esibizioni live. Purtroppo anche qui la SIAE opera secondo criteri alquanto discutibili, la lettura dei borderò a campione di fatto continua a penalizzare chi non rientra nelle classifiche ufficiali…