Marocco, Tunisia, Egitto: dopo la “Primavera Araba”, elezioni agli islamisti moderati

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di Alessandra Vitullo

Si cominciano a raccogliere i frutti di un anno di rivoluzioni in nord Africa. Tra ottobre e novembre in Tunisia, Marocco ed Egitto si sono tenute le prime elezioni libere e tutte hanno visto il trionfo delle correnti islamiste moderate.

Marocco – Dopo una lunga serie di manifestazioni pacifiche portate avanti dal Movimento 20 Febbraio, finalmente, in luglio, Mohammed VI vara una riforma costituzionale che obbliga il re a designare il capo di governo solo tra i vincitori dello scrutinio del 25 novembre. Ma per quei giovani manifestanti che nei giorni precedenti hanno riempito le strade di Rabat, non si tratta che di una riforma di facciata: continuano, infatti, ad essere riciclati sempre gli stessi personaggi, con il solito sistema di corruzione che si perpetua da anni. L’invito è stato dunque quello di boicottare le elezioni e, in effetti, il Marocco, rispetto alla Tunisia e all’Egitto, ha registrato il tasso si affluenza alle urne più basso.

Alla fine, ad uscire vincitori dallo scrutinio, è stata la versione marocchina del partito dei Fratelli Musumani, il Partito della giustizia e dello sviluppo, che ha guadagnato 107 seggi su 365. Il primo islamista incaricato di formare il nuovo governo è Abdelilah Benkirane, famoso in occidente per aver accusato Elton John di voler “omosessualizzare il Marocco” e Shakira di “favorire i costumi leggeri”, ma che all’idomani delle elezioni, risponde ai suoi intervistatori: “Ci fate tutti i giorni le stesse domande. Proibirete i costumi da bagno sulle spiagge? Chiuderete di bar? A tutti voi rispondiamo che noi siamo candidati per regolare dei problemi molto più importanti, come la disoccupazione, l’educazione e la giustizia.”

Tunisia – “La rivolta del pane” scoppiata in gennaio, che riuscì finalmente a far decadere il ventennale potere di Ben Alì, contagiando in seguito tutto il nord Africa, si è conclusa anch’essa con la vittoria di un partito di derivazione islamica An-nahda. Ottenendo il 41,5% dei voti (90 seggi su 217), il partito islamico nomina il suo segretario generale, Hamadi Jebali, come nuovo capo del governo e Moncef Marzouki come presidente della Repubblica. Entrambi con alle spalle lunghi anni di opposizione al regime di Ben Alì, il primo incarcerato per sedici anni, il secondo rifugiatosi in esilio in Francia per dieci, ora Jebali rappresenta l’ala modernista del partito, mentre Marzouki, come presidente della Lega araba dei diritti dell’uomo, è da tempo considerato come un’istituzione nel Paese. A capo dell’assemblea costituente, invece, viene nominato un uomo proveniente dalle fila del partito di sinistra Ettakol, Mustapha Ben Jaafar, che alle elezioni ha ottenuto il 15% delle preferenze.

L’aria che si respirava nelle strade di Tunisi il giorno dopo le lezioni, è completamente diversa da quella di Rabat, per la maggior parte dei tunisini, infatti: “Il partito di An-nahda è un partito modernista ma allo stesso tempo islamista”, l’unico che riesca veramente ad identificare le due anime della Rivoluzione dei gelsomini.

Egitto – Dopo la caduta di Mubarak, in febbraio, il lungo periodo di transizione guidato dal Consiglio supremo delle forze armate giunge a termine nelle ultime settimane di novembre, con altri civili che muoiono piazza Tahrir. Anche se ancora si attendono i risultati definitivi, con il 32% di voti, il partito Libertà e Giustizia dei Fratelli Musulmani é dato come favorito, inaspettatamente seguito dal 20% delle preferenze dei Salafiti, partito islamico radicale, di Al-Nour. Altro dato sorprende è stata l’affluenza alle urne: la più alta mai registrata in Egitto, il 62% dei cittadini si è recato ai seggi. Dalla parte dell’opposizione il partito dei liberali sembra essersi fermato intorno a un 12%.

L’intero ciclo elettorale terminerà a marzo, con l’elezione del parlamento, nel frattempo, tra chi ha lottato per la realizzazione di un Egitto libero e democratico comincia a insinuarsi la paura di veder sfumare il successo della rivoluzione: a partire dalla possibile coalizione tra i Fratelli Musulmani e le forze militari. Del resto le posizioni degli Ikhwan nei confronti di piazza Tahrir hanno sempre avuto delle zone ombre, a partire dal mancato sostegno ai primi giorni della rivoluzione.

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