Giornalisti precari: arriva la Carta di Firenze. Cura o palliativo?
di Chiara Baldi
Rivoluzioni nel mondo del giornalismo precario: dal primo gennaio 2012 entrerà effettivamente in vigore la Carta di Firenze, documento presentato ad ottobre nel capoluogo toscano, poi modificato nel corso della manifestazione “Giornalisti e giornalismi: libera stampa liberi tutti” e definitivamente approvato la settimana scorsa (15 dicembre) nella sede nazionale di Roma dell’Ordine dei Giornalisti. La Carta è stata fortemente voluta non solo dall’Odg ma anche dalla Fnsi e dai vari coordinamenti regionali dei precari del giornalismo, coordinamenti che sono nati nel corso dei due ultimi anni per sollevare un problema, quello del precariato nelle redazioni, che è diventato una vera e propria piaga sociale. Una piaga di cui, però, l’opinione pubblica sembra esserne all’oscuro, anche perché è molto difficile fare una stima precisa di quanti siano i precari dell’informazione.
Contratti precari – La Carta ha una forte valenza deontologica, mentre sembra meno efficace sul piano pratico: è questa, infatti, una delle critiche che più frequentemente vengono mosse al documento, che comunque ha un grandissimo peso dal punto di vista della “presa di coscienza”, seppure questa sia, a detta di molti precari, tardiva. I precari nelle redazioni esistono da quasi vent’anni, ma né l’Odg né la Fnsi hanno fatto nulla per arginare il problema prima d’ora. Inoltre, da quando è stata introdotta la Legge Biagi, i precari sono aumentati, a causa dell’enorme numero di contratti che la Legge 30 prevede. Sono contratti che hanno un costo del lavoro molto basso e per questo le aziende li impiegano in gran quantità preferendoli, ovviamente, a quello a tempo indeterminato. Soprattutto in un periodo di crisi come questo e soprattutto in un settore, come quello del giornalismo, in cui le redazioni sono perennemente in crisi a causa delle nuove tecnologie e della disaffezione del lettore verso il “prodotto giornale”.
Cosa stabilisce la Carta di Firenze? – La Carta è una nota positiva in questo mare di disperazione perché l’Odg e la Fnsi si sono finalmente resi conto che un problema, grande, nelle redazioni c’è. Con questo documento viene posta la questione, ad esempio, dei giornalisti pensionati che continuano a lavorare fissi in redazione ma con uno stipendio più basso impedendo così ai giovani di essere assunti (ma facendo risparmiare all’azienda migliaia di euro all’anno); viene affrontato l’argomento, spinoso, dell’equo compenso (il cui iter di approvazione è stato velocizzato e si prevede una sua entrata in vigore da qui a qualche settimana). Altro punto importante è quello relativo alla stabilizzazione: questi contratti flessibili, che forse sarebbe meglio chiamare precari, devono portare, come suggerito dalla Carta, ad una stabilizzazione del lavoro, cioè ad un contratto a tempo indeterminato che assicuri una vita dignitosa al lavoratore e alla sua (eventuale) famiglia.
Certo la Carta è stata approvata nonostante le molte critiche, tra cui una delle più aspre è stata quella fatta all’articolo due, in cui si stabilisce che «tutti i giornalisti sono tenuti a segnalare ai Consigli regionali situazioni di esercizio abusivo della professione e di mancato rispetto della dignità professionale»: per i Coordinamenti dei precari questo vuol dire voler far scoppiare una «guerra tra poveri». Come si fa a denunciare chi come te guadagna due euro lordi a notizia?
Il futuro – Non è facile prevedere se e come verrà applicata la Carta di Firenze nei prossimi mesi: il sospetto è che fino a quando non verranno riformati i contratti di lavoro non ci sarà davvero speranza di porre fine alla piaga del precariato, neanche nelle redazioni. Il Governo Monti se vuol veramente far ripartire l’economia e assorbire quest’enorme massa di precari e di disoccupati (secondo gli ultimi dati Istat la disoccupazione giovanile si attesta quasi al 30%) deve necessariamente mettere mano al mercato del lavoro, rendendolo sì flessibile ma assolutamente non più precario. Di precari ne abbiamo fin troppi, e sempre più spesso sono persino professionisti dell’informazione.
Non è nè una cura, nè un palliativo. E’ il sintomo che il male, già diagnosticato, sta diventando o forse è già diventato incurabile. I ridicoli balletti ancora in corso (emendamenti, delegittimazioni, etc) intorno al documento dimostrano che, oltretutto, il sistema non ha percepito la gravità del male e neppure quella del sintomo. Un altro errore è credere che il precariato (o meglio, il sistema dei contratti a termine) sia IL problema e non solo uno dei problemi, spaccando così ulteriormente la già poco coesa categoria dei non contrattualizzati e dei subcontrattualizzati. Una spirale autolesionistica da cui non credo usciremo professionalmente vivi.