“Figli dei fiori”, nessun danno al cervello nonostante le droga libera
di Daniela Silva
Dall’Inghilterra arrivano buone notizie per i figli dei fiori per coloro che, tra gli anni Sessanta e Settanta, hanno vissuto tra marijuana, Lsd e funghi allucinogeni. Certo può sembrare difficile da credere, ma sembra che questi vizi di gioventù non abbiano intaccato la vostra memoria, a meno che non abbiate sviluppato una vera e propria dipendenza.
Da un recente studio, realizzato da un team di ricercatori del King’s College di Londra, risulta infatti che, sottoponendo novemila inglesi over 60 a test cognitivi e di attenzione, otto anni dopo aver risposto a un questionario sull’uso di droghe leggere, gli ex hippy, dediti in passato all’uso occasionale di sostanze stupefacenti hanno superato la soglia del mezzo secolo di vita con un cervello in ottima forma. Il 6% dei soggetti aveva precedentemente dichiarato di aver assunto marijuana nell’ultimo anno, dal 3 all’8 per cento dei partecipanti avevano ammesso di aver assunto le altre sostanze, mentre il 25% di aver fatto uso di cannabis almeno una volta nella vita.
I test hanno portato i ricercatori, guidati dal professor Alex Dregan, a concludere che non esiste un legame necessario fra uso di droghe leggere e compromissione delle facoltà cognitive a 50 anni.
È evidente che l’intenzione dei ricercatori del King’s College non è quella di fare da paladini alla salvaguardia delle sostanze stupefacenti, ma piuttosto di dimostrare che i cosiddetti figli dei fiori, ripetutamente dediti al consumo di marijuana, Lsd e funghi allucinogeni hanno superato i cinquanta anni con la memoria paragonabile a tutti i coetanei che, invece, da qualsiasi sorta di sostanza stupefacente si sono sempre tenuti alla larga.
Lo studio, pubblicato sulla rivista “American Journal of Epidemiology”, conferma e smentisce altre ricerche precedenti, alcune delle quali avevano riscontrato che i risultati cognitivi dei consumatori occasionali di cannabis, in alcuni casi, erano anche leggermente superiori alla media. Smentisce, invece, studi come quello di John Halpen, psichiatra della Harvard Medical School, il quale tramite un suo studio aveva sostenuto che il consumo di droghe leggere causa un deficit nelle capacità cognitive, anche se questo handicap tende comunque a ridursi dopo un mese dalla cessazione dell’assunzione degli stupefacenti in questione. È lo stesso Halpen a precisare che un’assunzione pesante e prolungata di droghe, anche leggere, compromette comunque il corretto funzionamento del cervello.
Inoltre, è ormai conclamato che l’uso di cannabis nei malati terminali o di cancro allevia il dolore. Si tratta di ricerche importanti, condotte non in vitro, ma su esseri umani che hanno vissuto un reale miglioramento. Ad esempio, in una ricerca condotta su 160 pazienti con sclerosi provenienti da tre centri clinici inglesi, è stato valutato l’effetto di estratti standardizzati di cannabis su sintomi diversi: spasticità, disturbi urinari, tremore, dolore. Sono stati confrontati dei preparati di placebo, normalmente utilizzati per curare questi sintomi, con vari derivati della cannabis, ed è risultato evidente come questi ultimi fossero molto più efficaci nel ridurre la gravità media del sintomo.
Secondo il “Daily Mirror” invece uno spray a base di cannabis può essere prescritto in due ospedali britannici ai malati di cancro per i suoi effetti anti-dolorifici. Secondo esperti citati dal noto tabloid, il farmaco agisce anestetizzando i muscoli. Il Sativex, questo il nome del ritrovato, può essere somministrato ai pazienti terminali nell’ambito di un progetto sperimentale. Il farmaco, assicurano gli addetti ai lavori, non dà quella sensazione di euforia associata solitamente all’uso della cannabis che in Gran Bretagna è illegale.
È chiaro che lo scopo dell’articolo non è quello di incentivare l’uso di droghe, tant’è che gli stessi ricercatori del King’s College sottolineano che l’assunzione massiva e prolungata di droghe, anche di quelle cosiddette leggere, influenza negativamente l’attività cerebrale.