“Dentro e fuori Casapound”. Intervista a Daniele Di Nunzio ed Emanuele Toscano
di Vincenzo Arena
Alla morte di Pietro Saviotti, capo del pool anti terrorismo della Procura di Roma, Iannone ha gioito su facebook: “Questo 2012 si prospetta come un anno interessante… evviva”. Cancellata la sua pagina. Indymedia Abruzzo non gioiva meno: “Buone notizie: E’ crepato Pietro Saviotti. Ultimamente indagava sui pacchi spediti ad Equitalia e sull’attacco alla camionetta degli sbirri a Roma il 15 ottobre. Uno in meno!”. Questo post è ancora lì. Tralasciando la diversità di trattamento sazionatorio, è il caso di sottolineare la comune carica di odio e violenza che sottende entrambi i messaggi. “Parole ispirate dalla voglia di scontro a ogni costo. Di contrapposizione senza possibilità di dialogo”: scriveva qualche giorno fa sul Tempo Maurizio Piccirilli. Sembra di esser ripiombati negli anni ’70: gli anni che hanno macchiato l’asfalto del sangue dei Sergio Ramelli e dei Valerio Verbano. Sarebbe forse il caso di ricominciare da queste parole di Enrico Berlinguer, rivolte a Paolo Di Nella, giovane missimo ammazzato mentre affiggeva manifesti a Roma: “Aveva diritto di fare e di credere in ciò che faceva e credeva”. Come bisognerebbe ricominciare dalle parole di Almirante di fronte al feretro di Berlinguer: “Perché sono venuto? Perché era un uomo giusto, credeva in ciò che faceva”. La logica degli opposti estremismi ha bloccato questo Paese su opposte e violente barricate per troppi anni. La logica dell’odio ideologico ha permesso alle classi dirigenti “moderate” per anni di governare, presupponendo silenziosamente che fosse meglio farsi amministrare da “allegri” gestori della cosa pubblica, e non da assassini rossi e neri che s’ammazzavano fra loro.
Autore: Di Nunzio Daniele; Toscano Emanuele
Prezzo: Sconto 15% € 12,75 su www.ibs.it
(Prezzo di copertina € 15,00 Risparmio € 2,25)
Dati: 2011, 160 p.
Editore: Armando Editore (collana Scaffale aperto)
Blog: dentroefuoricasapound.wordpress.com
A trenta-quarant’anni da quei tempi, forse è il caso che l’informazione sia meno collaterale, rispetto al passato, alle parti in gioco e illumini fenomeni politico-sociali cercando di contestualizzarli e approfondirli con onestà intellettuale e senza pregiudizi. Sembra essere proprio questo l’obiettivo di “Dentro e fuori Casapound. Capire il fascismo del terzo millennio” (Armando Editore, 2011). Autori i giovani sociologi Emanuele Toscano e Daniele Di Nunzio. Un libro che – come riporta il loro blog – analizza l’avanzare della destra nelle periferie delle nostre città, l’affermarsi di un modello di aggregazione fortemente identitario che, a prescindere dai leader “cattivi maestri”, è capace di affascinare tanti giovani, spesso non propriamente “fascisti” riempiendo anche vuoti di rappresentanza a destra e a sinistra. Mediapolitika ha intervistato gli autori del libro. Dopo la strage di Firenze Daniele ed Emanuele, sull’opportunità di chiudere Casa Pound, si sono espressi così: “Crediamo sia un errore (…) E lo diciamo da sinistra. Precisamente, crediamo sia un errore per chi vuole affermare una democrazia reale nel nostro Paese. La democrazia si fonda sulla libertà di espressione, non sulla repressione e sull’impulso a odiare l’avversario”.
Attraverso quali iniziative, quali canali di comunicazione, quali “luoghi” secondo voi CasaPound è riuscita ad attrarre tanti giovani soprattutto nelle periferie delle nostre metropoli?
La militanza dentro CasaPound si svolge nelle forme tradizionali delle assemblee e dei seminari, così come negli attacchinaggi e nelle iniziative politiche. Insieme a queste, CasaPound propone una molteplicità di pratiche culturali, dando notevole importanza alle attività aggregative, attraverso le librerie di riferimento, i concerti, i pub, le associazioni sportive. Inoltre CasaPound sfrutta intensamente i mezzi di comunicazione, oltre ai volantini e a alle riviste, ha una propria web-radio, numerosi siti e forum, e produce un’informazione indipendente che diffonde nel web attraverso le inchieste auto-prodotte. Queste attività sono sia uno strumento per esprimere la propria visione del mondo che un canale per raccogliere consenso e iscritti. Per la vita interna del movimento, questo serve a favorire un rapporto diretto e spontaneo tra tutti i membri che, in un certo senso, prova a bilanciare la forte gerarchia dell’organizzazione. Così, il movimento CasaPound è sia uno spazio politico che uno spazio di vita, dove i giovani sentono di potersi esprimere e realizzare come individui e dove, al tempo stesso, cercano di portare avanti un progetto collettivo.
Contro i processi di globalizzazione in atto, contro le difficoltà per i giovani di costruire una vita autonoma, contro una logica mercantile che pervade molti ambiti della società, il movimento offre ai ragazzi una solida appartenenza comunitaria, delle relazioni politiche e di amicizia, un processo di socializzazione alternativo, la possibilità di impegnarsi politicamente e socialmente per rispondere ai bisogni più urgenti che vivono: la casa, la famiglia, il lavoro, l’educazione. Questa capacità di generare un intenso coinvolgimento – con la ricerca di una continuità esistenziale tra la vita personale e l’azione politica – è uno dei fattori chiave del “successo” di CasaPound. Ovviamente, questa attività culturale non è neutra ma si accompagna a una precisa visione del mondo che per noi pone molti problemi per l’affermazione della democrazia.
Nel vostro libro e nelle vostre interviste sostenete più volte che chi si avvicina a CasaPound spesso non è xenofobo, razzista, omofobo. Vogliamo meglio delineare l’identikit prevalente del giovane vicino o interno a CasaPound?
Riteniamo sia utile non accumunare tutte le posizione contrarie all’immigrazione in un unico spettro. L’ideologia della razza non fa parte della visione del mondo promossa da Casapoud, sebbene questo movimento si fondi sull’identità nazionale, proponga un governo serrato dei processi di immigrazione, dichiari apertamente la sua matrice fascista.
CasaPound vuole affermare i diritti sulla base di un’appartenenza comunitaria nazionale. Questo significa che i membri di CasaPound non hanno un’avversione a prescindere per le persone di altre nazionalità ma, piuttosto, pongono la nazionalità italiana come il fattore prioritario per avere dei diritti. Recentemente siamo stati ad ascoltare una conferenza a CasaPound dove c’era Lucia Hui King, portavoce della comunità cinese a Roma. Nella discussione alcuni membri di CasaPound hanno esaltato la cultura cinese per la sua capacità di affermare il ruolo della famiglia, del lavoro e dello Stato, valori sui quali per CasaPound fonda la potenza di un popolo e della sua nazione.
Dunque, per i membri di CasaPound sono possibili anche forme di stima e di alleanza con persone di altre nazionalità nel momento in cui si condividono certi valori comuni. In quest’ottica è da interpretare anche il loro impegno a supporto del popolo Karen in Birmania, che lotta per l’autodeterminazione su base identitaria.
Questo genera una discriminazione dell’individuo dovuta alla sua cittadinanza, che si scontra con una visione dei diritti individuali come fondamentali e universali, propria dell’interpretazione di democrazia che noi diamo nella ricerca. Purtroppo, ci sono tantissime persone in Italia che non si definiscono né fasciste né razziste ma vogliono affermare i diritti “prima” per gli italiani. Questo, secondo noi, è un problema per la democrazia che è destinato a crescere in un’epoca di crisi e di chiusure identitarie. È per questo che è utile comprendere questi fenomeni nella loro complessità.
Sull’omofobia, durante le interviste non abbiamo raccolto elementi sufficienti per affrontare questo argomento in profondità, difatti non ne parliamo nella ricerca. In generale, da quello che emerge dalla proposte politiche pubbliche, dentro CasaPound l’omosessualità non è avversata e si arriva a proporre il riconoscimento di tipo civile e amministrativo per le coppie dello stesso sesso, con l’attribuzione di determinati diritti (non l’adozione). In un certo senso, CasaPound vuole proporre una concezione contemporanea di Stato organico e la necessità di avere una visione “moderna” del mondo, dal loro punto di vista, è anche funzionale al progetto collettivo di una nazione forte.
Riguardo ai tratti comuni, CasaPound attrae delle persone che vogliono impegnarsi per migliorare sia la propria vita che quella della collettività. La partecipazione e l’azione sono dei valori importanti sui quali CasaPound fonda la propria capacità attrattiva. Il coinvolgimento dei militanti è molto intenso ed è percepito dai membri di CasaPound non come una costrizione o un’imposizione, ma come un’espressione naturale del proprio essere, poiché vedono in CasaPound uno spazio ideale per esprimere al meglio la loro vita. L’individuo sente che le relazioni che instaura dentro CasaPound sono uno strumento utile a crescere, a migliorare ogni giorno come persona mentre si lotta per migliorare il mondo nel quale si vive.
Il movimento offre una interpretazione moderna di lotta politica per chi crede che gli individui si possono realizzare solamente attraverso il potenziamento della propria comunità di appartenenza. Questo è un secondo fattore comune tra i membri di CasaPound: l’indissolubile legame tra l’individuo e la comunità di appartenenza, l’esigenza di coniugare il progetto individuale con quello collettivo e di subordinare il primo al secondo, quando necessario. Questo si traduce nella necessità politica di affermare lo spazio di CasaPound così come la sovranità popolare nazionale. Questo tipo di ragionamento affonda le radici nella concezione organica dello Stato che vede ogni parte in funzione del tutto. Questo è anche un elemento fortemente critico, per noi, perché l’affermazione del progetto collettivo – e della sovranità popolare – rischia di soverchiare quella dell’individuo, limitando la sua libertà e l’affermazione universale dei diritti fondamentali.
Dal punto di vista degli intervistati, in CasaPound le relazioni tra i membri sono mosse da alcuni valori che sono stati spesso citati nelle interviste: l’onestà, la lealtà, la responsabilità, il merito, l’impegno, il rispetto, la libertà, la concretezza, la capacità critica, così come il desiderio di avventura e l’anticonformismo. Questi valori sono vissuti dai membri come dei fattori che orientano l’azione individuale e collettiva, rendendo CasaPound un luogo “diverso” dal mondo esterno per chi vi partecipa.
Infine, tra i membri di CasaPound è diffusa una fascinazione simbolica per la violenza, per le azioni squadriste, per la potenza militare dell’impero romano, per il “coraggio spartano” attribuito ad esempio al comportamento del Blocco Studentesco negli scontri di Piazza Navona. Il principio di non rifiutare lo scontro – di ricorrere alla forza quando è necessario per difendere la propria legittimità – affonda le proprie radici in un orientamento che, più generalmente, condiziona l’agire di molti dei membri di CasaPound, che può riassumersi nel motto “non un passo indietro”. Il “coraggio”, l’“onore”, l’“essere di esempio” sono valori comuni tra i membri di CasaPound, che fungono da collante per la comunità e riempiono di significato l’uso della violenza.
Questa fascinazione per la violenza segna una forte tensione con l’affermazione stessa della democrazia, così come noi la interpretiamo. La fascinazione per la violenza pone la difficoltà di abbracciare una cultura della non-violenza o, più precisamente, del pacifismo, sulla quale si fonda e si dirige, per il nostro punto di vista, la democrazia. Ecco, in sintesi, questi sono per noi alcuni dei tratti distintivi di chi frequenta CasaPound.
Definiamo meglio la tipologia del “fascista del terzo millennio”? Quale la letteratura, la musica, gli artisti di riferimento?
La musica, che sicuramente è uno dei canali comunicativi su cui CasaPound ha puntato di più all’inizio e su cui continua a puntare, è soprattutto musica d’area, quella che loro stessi definiscono “non conforme”. Oltre agli ZetazeroAlfa, sicuramente il gruppo più importante, il panorama della musica “non conforme” si è negli anni differenziato, e pur rimanendo molto legato al genere oi! e più in generale all’hard-rock, ha prodotto anche gruppi hardcore, punk e sperimentazioni elettroniche.
Riguardo alla letteratura, la stessa CasaPound definisce i propri riferimenti: nella lista compilata su l’Ideodromo sono presenti testi che ci si aspetta trovare nella biblioteca di chi si definisce fascista: Evola (Metafisica della guerra), De Benoist (L’impero interiore), Piazzesi (Diario di uno squadrista toscano). Ma c’è altro che, forse, non ci si aspetterebbe di trovare: Parlato, Maffessoli, Salgari, Bukowski, Keruoac, Palahniuk. Nel 2009, Nicolai Lilin, l’autore di Educazione siberiana, ha presentato il suo libro a CasaPound.
CasaPound riempie a vostro parere un vuoto culturale anche a destra, dovuto al prevalere desertificante del berlusconismo negli ultimi vent’anni?
Il discorso è complesso e meriterebbe una trattazione che qui non è possibile riportare. In sintesi, l’esplosione dell’MSI (e la creazione di AN) prima e l’avvento della destra berlusconiana poi hanno sicuramente creato un vuoto culturale, in parte riempito da CasaPound. CasaPound ha raccolto un’eredità, quella del fascismo sociale, tuttora presente nel nostro paese e solo in parte interpretata dall’estrema destra istituzionale. A questo si aggiunge una crisi generalizzata della politica partitica in senso ampio, che rende più facilmente intercettabili quelle sensibilità più attive politicamente, presenti anche a destra, e che hanno trovato delle risposte e degli spazi in CasaPound.
Quali le prime reazioni dopo l’uscita del libro? Vi siete subito dichiarati distanti culturalmente e politicamente da CasaPound. Negli ambienti vicini alla sinistra parlamentare ed extraparlamentare come è stato accolto il vostro lavoro?
Il libro è stato scritto, prima di tutto, per riportare i risultati della nostra ricerca. Il nostro intento era, e rimane, quello di voler provare a descrivere perché, oggi, un movimento come CasaPound attira ragazzi e ragazze, con differenti background socio-culturali, e perché il pensiero fascista ha presa sulle nuove generazioni. Purtroppo, molti hanno scambiato questa analisi come un tentativo di legittimazione di CasaPound. Cosa peraltro inspiegabile, date le conclusioni del libro che evidenziano in modo chiaro quelle che sono le tensioni tra CasaPound e l’idea di democrazia, almeno per come abbiamo deciso di definirla noi. E’ stato molto complesso relazionarsi con un mondo politico che in alcuni casi non ha cercato di ragionare con noi, ma ha messo subito in dubbio, nel migliore dei casi, la nostra autonomia di pensiero. Speriamo che il libro, che non ha nessuna pretesa di esaustività, possa aiutare nella comprensione del fenomeno CasaPound anche e soprattutto a sinistra. Conoscere, che non è mai sinonimo di giustificare, è il primo passo per battere CasaPound politicamente e culturalmente.