Libri, “Volevo essere una farfalla”. Michela Marzano racconta la sua anoressia
di Sabrina Ferri
Anoressia uguale eccessiva magrezza. Un traduttore simultaneo radicato nella mente dei più, pensiero impetuoso di una società che della moda e della passerella ha fatto il “capo espiatorio” di una malattia distruttiva, capace di annientare anima e corpo e di inghiottire in una voragine, giorno dopo giorno, un pezzo di vita. Il buio, le lacrime, l’odio. La vita scivola via, lentamente, e in un abisso senza luce si finisce con l’anestetizzare il dolore.
Ma l’anoressia non è figlia della moda, non è prodotto dell’estetica né tantomeno egoismo, vizio, presunzione. L’anoressia è prima di tutto un sintomo capace di portare allo scoperto quello che fa male dentro. Perchè dietro questo sintomo si cela un mondo fatto di cristallo, gravido di paure, incertezze, fragilità. Michela Marzano, oggi affermata filosofa e scrittrice, lo sa bene. Lo racconta apertamente nel suo ultimo libro Volevo essere una farfalla, una confessione toccante, vera, sincera.
Michela lo sa che l’anoressia non è come un raffreddore, che non guarisce da sola. L’ha vissuta sulla propria pelle, l’ha vista farsi parte integrante del suo vissuto quotidiano. Paura, vuoto, abbandono, violenza, collera. Anoressia è tutto questo. È un modo per proteggersi da tutto ciò che sfugge al controllo. Michela voleva solo essere perfetta, Michela voleva essere brava, la più brava agli occhi di papà. Michela doveva fare questo, Michela doveva fare quello, la vita era un dovere per Michela.
Ma oggi per Michela c’è il volere e non più il dovere. Oggi la vita è cambiata. O forse la vita è sempre la stessa ed è Michela ad essere cambiata. Lei è ripartita da lì, da quell’anoressia che, seppur nel dolore, le ha insegnato a vivere. Ce ne è voluto del tempo. Ma ha capito. Ha capito che si può anche essere imperfetti, che le emozioni non vanno ignorate ma ascoltate, che l’amore è accettare se stessi prima dell’altro, che è inutile rinnegare il passato, che il giudizio altrui non conta poi così tanto, che il cibo non serve a farsi del male. Sì, Michela ha capito tante cose.
Mediapolitika ha cercato di capire con lei. L’abbiamo ascoltata, quasi meravigliandoci di quella voce così determinata e profonda. A Michela l’anoressia l’ha davvero cambiata. Oggi è una persona nuova, decisa, forse migliore.
Partendo dal titolo del suo libro, in che senso “voleva essere una farfalla”?
Ho sempre voluto cercare una forma di leggerezza, cioè sentirmi più leggera perché la vita era troppo pesante. Solo che all’inizio c’era anche quest’illusione che sarei potuta diventare leggera perdendo chili. Mentre in realtà più perdevo peso, quando ero prigioniera di questo sintomo, più la vita diventava pesante. Ed è stato semplicemente poi, pian piano, allontanandomi dalle aspettative altrui, cercando di capire quello che desideravo veramente che ho acquisito una nuova leggerezza, non in termini di chili questa volta ma in termini veramente di leggerezza di pensiero. Cioè la libertà di essere me stessa che poi, vuol dire anche, finalmente, essere leggera.
Lei ha accostato il termine anoressia a quello di vita. In che modo l’anoressia le ha insegnato a vivere?
L’anoressia mi ha insegnato a vivere in modo doloroso, ovviamente attraversare l’anoressia è stato molto doloroso. Però mi ha costretta a fare i conti con me stessa, mi ha costretta a mettermi in discussione e a cercare di capire quello che non andava profondamente all’interno di me, e cercare di capire poi che ci voleva tanto coraggio per poter essere quello che volevo, per poter desiderare quello che volevo veramente indipendentemente da quello che gli altri potevano aspettarsi da me.
Quindi quello che ho imparato a fare pian piano è gettarmi il passato alle spalle, gettarmi alle spalle il giudizio altrui, per trovare una nuova serenità con me stessa.
Purtroppo dietro l’anoressia si nasconde un mondo. Come combattere la convinzione comune che l’anoressia sia soltanto un problema di cibo?
E’ difficile. E’ difficile perché purtroppo o non si vuol sentire parlare delle cose che disturbano, oppure molto più facile è parlarne in maniera banale e quindi credere che sia semplicemente un qualcosa legato al peso. Il problema è che non è facile ascoltare le vere ragioni e non è facile rimettersi poi in discussione.
Purtroppo siamo in una società che ha tendenza a semplificare le cose ed è molto più facile credere che sia semplicemente una questione di apparenza o, peggio ancora, che le persone che hanno questo tipo di problema siano delle persone viziate che non conoscono il vero dolore, piuttosto che cercare di interrogarsi su quello che non va. Ci vuole tanta pazienza, tanto tempo e tanto lavoro, soprattutto pedagogico, che tra l’altro è stato uno dei motivi per cui io ho deciso di scrivere questo libro: per far sì, appunto, che si parlasse di anoressia e se ne parlasse in maniera diversa.
Amare se stessi prima di amare gli altri. È il primo passo per uscire dal “sintomo”?
Sì è il primo passo. Anche se poi in realtà è il passo più difficile perché si crede che sia più facile amare se stessi prima degli altri mentre amarsi, nel senso di accettarsi, di capirsi, non lo è affatto. Non possiamo sempre essere perfetti ma amarsi con le proprie instabilità, con le proprie imperfezioni in realtà è difficile, soprattutto se quando eravamo piccoli nessuno ce lo ha insegnato.
Grazie per articolo