Per una Pasqua equosolidale. Intervista a Vittorio Leproux

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di Laura Guadalupi

La Pasqua, quale momento migliore per sfuggire al consumismo di massa e festeggiare la ricorrenza religiosa in modo alternativo, scegliendo dei prodotti del Commercio Equo e Solidale?
In occasione della riapertura della Bottega del Mondo in Via di Ripetta, a Roma, abbiamo incontrato Vittorio Leproux, Presidente della cooperativa sociale Pangea-Niente Troppo, organizzazione senza fini di lucro che gestisce sei botteghe di commercio equosolidale a Roma ed è consorziata con la rete nazionale Altromercato.

Che tipo di prodotti pasquali troviamo nei vostri punti vendita?

Offriamo una gamma di prodotti della tradizione italiana rivisitati in ottica equosolidale. Le colombe prendono il nome sudamericano di paloma, mentre le uova di Pasqua contengono dei prodotti artigianali che importiamo da cooperative del Sud del mondo.
Ovviamente la particolarità dei nostri beni alimentari sta negli ingredienti: il cacao viene dalla Bolivia e dalla Repubblica Domenicana, lo zucchero dal Paraguay e gli anacardi dall’India e dal Brasile. L’elaborazione di queste materie prime è affidata a produttori italiani che ci garantiscono adeguati standard qualitativi, ambientali ed etici. Il caffè, ad esempio, è torrefatto in Italia, ma stiamo cercando di sviluppare delle competenze di torrefazione nei Paesi di provenienza, sebbene non sempre sia possibile riuscire a trasformare in loco i prodotti del commercio equosolidale. È un impegno che necessita di strutture, training, investimenti e trasferimento di know how, che a volte può richiedere anni.
Ad ogni modo, una politica generalizzata della nostra organizzazione è cercare sempre, dove possibile, di spostare la lavorazione nel Sud per portarvi valore aggiunto. Quindi inserire nelle uova di Pasqua dei prodotti di artigianato locale significa coinvolgere nella filiera gli artigiani, che sono spesso i produttori più svantaggiati. Per citare un altro esempio, anni fa abbiamo ottenuto che il tè fosse etichettato e confezionato nel Sud, magari in contenitori di fibre vegetali, così da includere nella catena produttiva equosolidale anche gli intrecciatori di fibre vegetali.

Quanta parte dei proventi ritorna nei Paesi di provenienza?

Dipende dal prodotto, naturalmente sono da considerare i margini dell’importazione, dello stoccaggio, della distribuzione. Il commercio equo e solidale non è sinonimo di beneficenza, ma vuol dire coinvolgere in un’economia reale degli attori che altrimenti sarebbero marginalizzati dal mercato tradizionale e che vengono remunerati per il proprio lavoro. Ciò significa valorizzare le persone, restituire dignità umana. Spesso i produttori vengono in Italia, li facciamo incontrare con i consumatori, nelle botteghe, e sono soddisfatti nel vedere i loro prodotti esposti in una bella vetrina, in un bel negozio. La gratificazione è un valore immateriale che va oltre l’aspetto economico.

Avete dei clienti abituali?

Sì, abbiamo una clientela affezionata e sempre più trasversale. Il commercio equo nasce in origine da una forte spinta ideale, dall’attenzione al Sud del mondo e a tematiche quali la giustizia sociale. Successivamente si è cercato di ampliare il target puntando su prodotti di qualità tali da attrarre un numero sempre maggiore di persone. In questo modo, attraverso lo strumento della qualità, si è tentato di conquistare nuovi consumatori ai quali raccontare la storia del prodotto per far comprendere le conseguenze sociali di alcune economie distorte, come la mancanza di trasparenza, di controllo della filiera, di giustizia sociale.

Riapre il punto vendita in Via di Ripetta, a Roma. Cosa c’è di nuovo?

Innanzitutto, grazie al riallestimento, la bottega è oggi su due livelli, con il primo piano dedicato interamente all’abbigliamento. Poi, sempre per un discorso legato alla qualità, stiamo cercando di realizzare dei formati di punti vendita coerenti con alcune tipologie di prodotto. Nel punto vendita in Via Di Ripetta abbiamo sviluppato la proposta di un negozio focalizzato sulla persona, quindi un formato incentrato sul tessile, sull’abbigliamento e sui complementi, cioè accessori e cosmesi. Stiamo portando avanti diversi progetti con alcuni produttori, ad esempio in India stiamo progettando lo sviluppo di tutta una serie di prodotti sulla base di una filiera di cotone biologico e solidale.

Tutti questi progetti fanno supporre che esistano delle buone possibilità di crescita per il commercio equosolidale.

Direi di sì. A Roma gestiamo sei Botteghe del Mondo. La cooperativa Pangea Niente-Troppo a sua volta fa parte del consorzio Altromercato, che ha una rete di 350 punti vendita in tutta Italia. Dal mio punto di vista il commercio equo ha delle grandissime potenzialità sotto due aspetti. Il primo riguarda il confronto con gli altri Paesi europei in termini di acquisti. Nel resto d’Europa l’acquisto medio di prodotti equosolidali è molto più alto, mentre in Italia il movimento è più giovane, quindi abbiamo delle rilevanti possibilità di aumentare le percentuali d’acquisto individuale.
Il secondo aspetto va invece a intaccare le potenzialità legate ai valori insiti nei nostri prodotti. Nonostante ci sia una forte crisi che impatta anche la distribuzione al dettaglio, tuttavia nel 2012 stiamo registrando un trend positivo nelle vendite. Questo perché veicoliamo dei valori che prospettano il ritorno a un’economia reale, valori di cui i cittadini avvertono la mancanza nell’attuale sistema economico.

 


 


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