Un anno di indignados ed indignati
di Pietro Falco
Un anno è passato dalla prima acampada spagnola in Puerta del sol a Madrid, una protesta nata in occasione delle prime elezioni amministrative dell’era della crisi economica globale e sulla scia della primavera araba. Due paradigmi senza dubbio diversi, ma che evidenziano lo stesso il senso generale di malessere che la generazione 25-35 sta vivendo sulla propria pelle senza esserne la causa effettiva.
La protesta nel mondo – La protesta non ha mai valicato con decisione i Pirenei e durante questo intero anno lo stesso metodo è cambiato a più riprese ed in base alla nazione in cui si manifestava: si è andati dalla timida imitazione italiana con le tende in piazza a Roma e Bologna ai violenti scontri di Piazza Sintagma ad Atene passando per Zuccotti Park a New York, dove l’accampamento è solo un corollario del più ampio movimento Occupy Wall Street, fino ad arrivare naturalmente alla piazza virtuale: Twitter in testa.
Lo scenario italiano – Gli indignados italiani, non quelli nelle tende, hanno preso in prestito da Madrid solo il nome nuovo, usandolo per manifestare collettivamente; il grande corteo di Roma del 15 ottobre infatti è il risultato di lotte che nascono dal G8 di Genova (volendo anche prima) e non hanno mai smesso d’esistere nei collettivi universitari, nei centri sociali, in alcuni partiti e nei movimenti politici e referendari. In Italia non si è attesa la miccia spagnola per avviare la protesta, come avevamo già sostenuto in un articolo pubblicato il 31 maggio dello scorso anno e in un altro del 7 giugno scorso; la nostra nazione attraversa una fase politica diversa da Spagna e Grecia dove si è votato per le politiche; il voto a cui siamo stati chiamati, proprio come un anno fa, è stato quello amministrativo che con un corpo elettorale di circa dieci milioni di votanti, da non minimizzare, porta alla luce dati significativi del disagio sociale, espresso appunto, come un anno fa, tramite scheda elettorale.
Il futuro della protesta – L’era berlusconiana è terminata, ce lo dicono le percentuali, ora il governo dei tecnici impone un salto di qualità anche della protesta perché sebbene fino ad oggi le proposte in campo non siano mancate, a tratti si è assistito ad un tumulto un po’ viziato dal “plasticume” del virus Mediaset. Il nuovo capitolo per un’alternativa concreta a questo stato di cose va scritto seguendo un percorso di modernizzazione, in prima analisi, dei partiti, che hanno il dovere di ascoltare i movimenti ed imparare qualche lezione, in seconda analisi chiedendo a gran voce all’attuale guida del Paese di ammorbidire le posizioni cattedratiche e rigide che vengono percepite come profonda frattura fra palazzi e vita reale.
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