LONDRA 2012 – Un’intervista impossibile: Pierre de Coubertin e le Olimpiadi londinesi
di Giovanni Fabbri
E’ con grande emozione che mi accingo a rivolgere alcune domande ad un grandissimo personaggio, “un uomo all’antica”: il barone Pierre de Coubertin, inventore dei Giochi Olimpici moderni, colui che ideò le Olimpiadi ateniesi del 1896.
Buongiorno Barone. Cominciano oggi i Giochi Olimpici di Londra 2012, con quale animo è pronto a seguirli?
L’animo e lo spirito di sempre, passa il tempo, cambiano le persone ma certe sensazioni si manifestano sempre allo stesso modo, con la stessa intensità. Il sentimento che mi lega a questa manifestazione è più di un semplice affetto; ogni volta che vedo un atleta difendere i colori del proprio paese, durante i Giochi Olimpici, un brivido percorre il mio corpo. E’ impossibile fare l’abitudine a certe emozioni.
Gli appassionati di sport devono esserle grati se oggi possono seguire questo grande avvenimento, è fiero di ciò?
Certo. Sono orgoglioso di aver riportato in vita, ormai più di 100 anni fa, i Giochi Olimpici. Fu una scommessa con me stesso, sono sempre stato un appassionato di sport e non riuscivo a spiegarmi come fosse possibile l’assenza di una manifestazione che potesse mettere in competizione paesi differenti. Tra l’altro presi ispirazione dai giochi che si disputavano proprio al confine tra Inghilterra e Galles, quelli di Much Wenlock. Creati dal mio amico il dottor William Penny Brookes. Sono comunque sicuro che se non lo avessi fatto io nel lontano 1896 sarebbe venuto in mente a qualcun altro, magari qualche anno dopo. Forse quel qualcuno avrebbe pensato a questa manifestazione per motivi diversi e non con il semplice intento di riportare alla luce la sana competizione sportiva, ma queste sono solo piccole sfumature.
Cosa intende per “motivi diversi”?
Mi riferisco ai tantissimi interessi economici che oggi ruotano intorno a questo avvenimento. Se qualcuno avesse pensato di riportare in vita le Olimpiadi anche solo 30 o 40 anni dopo di me, lo avrebbe fatto certamente spinto anche da interessi personali. Poteva nascere il desiderio di arricchirsi grazie alla diffusione dei primi mezzi di comunicazione di massa. Io lo feci solo per passione. Avevo un sogno: ricreare lo spirito sportivo dell’epoca ellenica.
A proposito di spirito sportivo, crede che le Olimpiadi di oggi abbiano ancora questo valore?
Credo proprio di sì. Mi fa molto piacere notare che gli atleti odierni diano tanta importanza alle Olimpiadi, non solo per la visibilità che esse garantiscono, ma anche per il significato storico e leggendario che ad esse viene attribuito. Sembrano percepire quello spirito olimpico tipico dei Giochi di un tempo.
Quali sono le più grandi differenze tra le “sue Olimpiadi”, quelle del 1896 per esempio, e quelle di Londra?
Stiamo parlando di due avvenimenti quasi antitetici, pensi che ai miei tempi gli atleti statunitensi impiegavano mesi per raggiungere l’Europa e la città ospitante, oggi bastano solo poche ore di aereo per spostarsi da una parte all’altra del globo. E’ passato troppo tempo per poter avvicinare questa edizione che sta per cominciare alla prima. Nel 1896 gli sport contemplati erano 9 contro le 39 discipline olimpiche di oggi; gli atleti che presero parte alla prima edizione furono meno di 300; quelli pronti a partecipare alle gare londinesi sono ben 10.500. Insomma con i mezzi dell’epoca feci del mio meglio e, nonostante il grande successo, quei numeri paragonati a quelli di oggi fanno solo sorridere.
Lei è conosciuto anche per essere l’inventore del celebre motto “l’importante è partecipare, non vincere”.
La ringrazio di questa domanda perché mi permette di chiarire una volta per tutte un vecchio malinteso. Non fui io a coniare questa famosa espressione, bensì il vescovo anglicano Ethelbert Talbot durante il suo discorso nella cattedrale londinese di Saint Paul, per l’apertura dei giochi del 1908. Fui costretto a ripeterla qualche giorno dopo durante un banchetto al quale parteciparono tutti gli esponenti dei paesi invitati. Mi vidi “costretto” a pronunciare quella frase perché si diffusero, nei giorni precedenti all’inaugurazione di quei giochi, voci riguardanti scommesse e corruzione che sembravano coinvolgere anche alcuni atleti. Sentii il dovere morale di sottolineare che la lealtà e il rispetto per l’avversario sono i valori di riferimento dello sport, anche se considero la vittoria estremamente importante, il coronamento finale dei sacrifici di uno sportivo.
Riguardo ai cinque cerchi olimpici però possiamo stare tranquilli, fu lei ad idearli?
Assolutamente sì e sono fiero che quel simbolo, risultato di mesi di riflessioni, è diventato uno dei loghi più conosciuti al mondo. Pensai che i cerchi intrecciati rappresentassero le figure geometriche perfette per simboleggiare l’unione dei cinque continenti. Quanto ai colori non pensai ad un colore per ogni continente come viene spiegato oggi, scelsi piuttosto cinque colori che singolarmente potessero essere ritrovati in tutte le bandiere dei paesi europei. Questo perché dei paesi extra-europei ancora si conosceva pochissimo e non fui in grado di prendere in considerazione anche questi ultimi.
Grazie mille Barone, è stato un onore parlare con lei. A presto