Grillo contro i talk. Per i giornalisti scrive un nuovo vocabolario
di Pierfrancesco Demilito
“Lì, in una gabbia di un circo, come su un trespolo, muto per ore, povera presenza rituale di cui si vuole solo lo scalpo, macellato come un agnello masochista, rispondi per i quattro minuti che ti sono concessi a domande preconfezionate poste da manichini al servizio dei partiti”.
Così il leader dei grillini vede i rappresentanti del suo partito durante i talk show a cui prendono parte. Questa volta, sebbene nel post pubblicato sul blog non venga mai citata, Beppe Grillo ce l’ha con Federica Salsi, consigliere comunale di Bologna, che martedì scorso ha accettato l’invito di Giovanni Floris e ha partecipato a Ballarò.
Grillo non ci va giù leggero e il giorno dopo la trasmissione di Rai3 dal suo blog sentenzia: “Il punto G, quello che ti dà l’orgasmo nei salotti dei talk show. L’atteso quarto d’ora di celebrità di Andy Warhol. A casa gli amici, i parenti applaudono commossi nel condividere l’emozione di un’effimera celebrità, sorridenti, beati della tua giusta e finalmente raggiunta visibilità. Seduto in poltroncine a schiera, accomunato ai falsari della verità, agli imbonitori di partito, ai diffamatori di professione, devastato dagli applausi a comando di claque prezzolate. Soggetto, bersaglio consapevole ben pettinato alla bisogna che porge il lato migliore del proprio profilo alla morbosa attenzione di cameraman che ti inquadrano implacabili se annuisci quando enuncia le sue soluzioni un qualunquemente stronzo”.
Il messaggio è chiaro: “il talk ti uccide” e dunque in tv non bisogna andarci, insomma, come disse lo stesso Grillo tempo fa ad un giornalista di Piazzapulita, “i media me li scelgo io”. Un ragionamento che potrebbe essere tollerato durante la campagna elettorale. In quel momento sei in gara e decidi tu la tua tattica, come gareggiare. Ma dopo le elezioni no. Dopo lo spoglio elettorale gli eletti smettono di rappresentare solo ed elusivamente chi li ha votati e divengono i delegati di un’intera comunità e quella collettività ha il diritto di conoscere i suoi amministratori e, che piaccia o no, il palcoscenico che raggiunge il grande pubblico è la tv, è il confronto con l’altra parte politica, sono le domande dei giornalisti.
In questa settimana la linea comunicativa dettata da Grillo ai suoi adepti non ha fatto discutere solo per l’attacco (dai toni un po’ sessisti) mosso alla Salsi, ma anche per una velina inviata alle principali testate giornalistiche durante lo spoglio in Sicilia. Una nota che appare al confine tra l’ironico e lo squadrista. “Alla luce dell’enorme cambiamento proposto dal MoVimento 5 stelle – si legge – è necessario che il vocabolario di riferimento usato dai media sia coerente e corretto. Per questa ragione è indispensabile che tutti voi giornalisti, redattori, caporedattori e direttori poniate la massima attenzione ad evitare parole che non appartengono alla realtà del movimento”. Non è ben chiara quale sia la punizione per chi non si adeguerà al nuovo vocabolario grillino e ci auguriamo che nelle redazioni non vengano inviati aderenti al movimento dotati di spazzole e sapone per sciacquare le bocche dei giornalisti distratti. Dunque, invece di partito, ovvero un gruppo di persone che mira ad ottenere il controllo dell’apparato governativo a seguito di regolari elezioni, dovremmo usare l’espressione “forza politica”. Quando parliamo di Beppe Grillo, che detiene la proprietà del simbolo del MoVimento 5 stelle e che discrezionalmente decide chi può usarlo e chi no, non dovremmo parlare di “leader” ma di “megafono”. Un eletto al Consiglio comunale non deve essere chiamato semplicemente consigliere, come siamo abituati a fare se non altro per logica, ma “portavoce” (di chi? del megafono?). Infine, bandito “grillini”, una parola considerata “scorretta e anche un po’ offensiva, in quanto riduttiva e verticistica”.
I termini usati in questo articolo sono stati scelti accuratamente e non a caso si è deciso di disobbedire all’editto dei grillini, perché al comico genovese non vogliamo solo ricordare che atteggiamenti di questo tipo fanno tornare alla mente il triste Minculpop, la censura democristiana o i rimproveri di Berlusconi alla stampa. Ma vogliamo anche farlo arrabbiare, vogliamo rendergli pan per focaccia. Con sufficienza tratta la stampa italiana e con sufficienza ci cureremo dei suoi folli editti. E allora, anche solo per fargli un dispetto, non smetteremo di chiamarlo il leader del partito dei grillini.