Diario da Taranto – La storia siamo noi
di Greta Marraffa
“C’è una forma della forza, che non è né maschile, né femminile,
che impressiona, spaventa, rassicura. Una facoltà di dire no,
di imporre i propri punti di vista, di non tirarsi indietro”
(V. Despantes)
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Un fiume colorato umano,invade le arterie della città: un serpentone di vitalità che trasuda tanta voglia di partecipazione e di ribellione. Una città intera si mette in cammino, pretende riscatto e rivendica una “Taranto Libera”, libera dai ricatti e dallo sfruttamento.
Massiccia la presenza dei giovani, altrettanta quella degli operai e dei semplici cittadini. Vetrate dei negozi, completamente serrate. La città vuole giustizia, trasforma la sua sofferenza e la sua rabbia in gioia e ribellione, odio ed amore. E’ un sentimento lacerante, è un senso di appartenenza, è uno spirito di rivolta.
Sono oltre 20.000, ma non importa contarli uno ad uno, sono tanti, tantissimi. Sono ovunque. Sono i volti e le storie di una terra nel cuore del meridione che è in fermento, è la miccia accesa di una bomba che sta per esplodere.
I cori e gli slogan, le voci di grandi e piccini, rimbombano in tutte le vie della città. E’ un brivido dietro la schiena, è forte il senso di solidarietà e di unità, che stimola ad abbracciare chi si trova affianco, senza troppe remore.
La massa prende forma e diviene moltitudine, la complessità delle sfumature e delle diversità esprimono la capacità del conflitto di contenere la pluralità. E così un grigio e tedioso sabato invernale nella città dell’acciaio, fa da sfondo ad un bellissimo spettacolo, in cui la democrazia partecipata e la mobilitazione dal basso sono i principali protagonisti.
All’indomani della firma da parte del Presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, che permette all’Ilva di continuare a produrre nonostante le ordinanze dell’autorità giudiziaria che ne ha sequestrato gli impianti lo scorso 26 Luglio, Il Comitato “15 Dicembre”, costituitosi in vista della grande manifestazione cittadina, si mette in marcia, occupando lunghi e nevralgici spazi della città.
Alla testa del corteo, il simbolico tre ruote. Ad aprire le danze, accanto ai lavoratori Ilva e i componenti del “comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti” , ci sono le donne: le mogli e le compagne dei lavoratori, fiere e a muso duro, tengono per mano i bambini, le mascotte del movimento, pronti a colorare di ingenuità e purezza, l’intero percorso.
La musica riscalda il cuore, e sulle note dei brani del cantautore Fido Guido, gli studenti medi , saltellando e tendendo le braccia al cielo, trasudano vibrazioni positive e pure. La contaminazione dei sorrisi e degli abbracci, rende ognuno, partecipe della costruzione del proprio futuro: diverso, dignitoso a misura dei propri sogni e delle proprie aspettative.
“Ci avete tolto tanto, ci riprendiamo tutto”, è la frase di uno striscione, quasi alla coda del corteo. Uomini e donne, precarie e precari, rivendicano di poter essere “choosy”. Sono le generazioni di un’ epoca ingiusta: dove anche “gli affetti sono contratti a progetto”. Covano rabbia e dicono di riversare felicità, sono gli uomini e le donne, le giovani studentesse e i lavoratori del “call center” più grande del meridione, stanchi e stanche di subire ricatti, progettano “nuove traiettorie e punti di fuga”, perché “la felicità è un diritto”- afferma un’attivista dagli occhi grandi e i capelli ricci e ribelli.
Taranto non è solo fumo e ciminiere. La lotta ambientale non si riduce a semplici tecnicismi: essa si inserisce necessariamente all’interno di un processo di riappropriazione, di condivisione e di liberazione.
La precarietà la si combatte ,rifiutando la mercificazione dei saperi, e rivendicano spazi di cultura e di aggregazione, pretendendo un reddito all’esistenza, per poter esser indipendenti e poter soddisfare le proprie ambizioni e passioni.
Tra di loro, alcune attiviste allegre e gioiose, indossano passamontagna dai colori accesi: sono le pussy riot dello ionio. Sono arrabbiate, disilluse, rivendicano la loro diversità, in una battaglia che coinvolge e condiziona completamente la propria esistenza.” L’inquinamento uccide”, dice una di loro:” dall’ultimo studio sentieri emerge brutalmente, come i casi di tumore all’utero si siano triplicati in pochissimo tempo”- continua dicendo :” Siamo stanche di dover accettare e sottostare ad un sistema economico e di sviluppo che antepone il profitto alle nostre esistenze”.
Accompagnati dallo slogan :” Don Marco, dividiamo la grana”, la “precarietà in movimento” ci si dirige verso la chiesa del Carmine, il cui sacerdote, è nella ragnatela delle intercettazioni e delle possibili relazioni con Girolamo Archinà, che è stato per diverso tempo la “longa manus” sulla città della famiglia Riva.
La battaglia che si gioca in questa terra è una scommessa, un cantiere aperto che come la democrazia, è un work in progress. Rifiutare il ricatto in questa in terra, determina la necessità di sottrarsi a logiche competitive, di egoismo e di centralizzazione delle scelte. E’ necessario riprendere parola, attraverso processi di cambiamento collettivo dal basso, perché “la storia siamo noi” e nessuno deve sentirsi escluso.