Porto Tolle (Ro), conversione della centrale Enel. Greenpeace denuncia i danni del carbone
di Valentina Verdini
<<85 casi di morte prematura all’anno per un totale di quasi 900 anni di vita persi per anno di funzionamento>>: sono questi i dati preoccupanti riportati dall’analisi comparativa dell’impatto sanitario derivanti dalla conversione a carbone della centrale Enel di Porto Tolle, in provincia di Rovigo. L’indagine, svolta dall’università di Stoccarda e pubblicata lo scorso novembre da Greenpeace, si basa sul modello EcoSenseWeb, utilizzato per valutare gli impatti prioritari derivanti dalla esposizione a sostanze inquinanti disperse nell’aria, ossia l’impatto sulla salute umana, le colture, i materiali da costruzione e gli ecosistemi emessi da una centrale a carbone nel Parco del Delta del Po.
PORTO TOLLE E LA CENTRALE ENEL- Costruito tra il 1980 e il 1984, l’impianto termoelettrico ad olio combustibile di Porto Tolle è formato da 4 gruppi di produzione per una potenza totale di 2.640 MW. La centrale Enel è situata all’interno del Parco Delta del Po, un ecosistema con un alto livello di biodiversità e un vero e proprio patrimonio naturale. In tale scenario, era quasi un’ovvietà che la presenza di uno stabilimento causasse danni irreparabili. Nel 2006 le prime condanne ai massimi dirigenti dell’ENEL e i gestori dell’impianto veneto per l’inquinamento atmosferico provocato e per le ricadute oleose sul suolo. Nel settembre 2012 la posizione dei dirigenti e dei tecnici Enel peggiora, in quanto viene esteso il capo di imputazione a disastro doloso, fissando la prima udienza al 24 gennaio 2013.
LA CONVERSIONE A CARBONE DELL’IMPIANTO- Il processo di conversione a carbone della centrale Enel, iniziato circa sette anni fa, divide l’opinione pubblica. Se da un lato il presidente del Veneto Luca Zaia loda il passaggio al carbone pulito e al miglioramento delle tecnologie che dovrebbero ridurre le emissioni, se gli stessi sindacati, nessuno escluso, sono tutti compatti nell’evidenziare il risvolto positivo in termini occupazionali, dall’altro lato i movimenti ambientalisti mostrano perplessità e preoccupazione per una fonte fossile che è la principale causa di emissione di gas serra.
ECOSENSEWEB E I DATI ALLARMANTI-Dopo la riapertura della procedura di Valutazione d’impatto ambientale da parte del Ministero dell’Ambiente lo scorso 30 novembre, Greepeace ha reso noti i risultati dell’analisi dell’università di Stoccarda condotti attraverso EcoSenseWeb. Quest’ultimo è un modello integrato di dispersione atmosferica e di valutazione degli impatti che utilizza il metodo Impact Pathway Approach (IPA) sviluppato nell’ambito del progetto europeo Externe per la misurazione dell’emissione di sostanze inquinanti quali la SO2 (anidride solforosa), NOx (ossidi di azoto), PM (particolato primario), COVNM (composti organici volatili non metanici), NH3 (ammoniaca), nonché di gas serra.
L’analisi effettua una valutazione comparativa tra la conversione a carbone della centrale di Porto Tolle, con la sua alternativa a gas. Dalla comparazione emerge che i costi esterni della produzione a carbone sono quasi 2,5 volte superiori rispetto all’opzione equivalente a gas naturale. Inoltre, per quanto riguarda i costi sanitari espressi in termini di “anni di vita persi”, il rapporto relativo tra carbone e gas è 6,9 volte peggiore per il carbone. Esprimendo i danni sanitari in “morti premature”, il risultato è di 85 casi di morte prematura all’anno per un totale di quasi 900 anni di vita persi per anno di funzionamento.
Secondo Giuseppe Onufrio, direttore Esecutivo di Greenpeace Italia: <<Va sottolineato come la mortalità in eccesso è effetto dell’emissione e, sopratutto, della formazione di polveri sottili (PM2.5) e dei picchi di ozono, fattori entrambi connessi agli inquinanti prodotti dalla centrale. In pianura padana la concentrazione di PM2.5 è già critica e una centrale a carbone darebbe un ulteriore contributo negativo. Questo è un motivo di grande allarme ambientale e sanitario che chiediamo venga tenuto in debito conto nel processo di valutazione ambientale>>. Da quanto emerso dall’analisi comparativa, considerando l’intera vita dell’impianto (40 anni) di cui si propone la conversione a carbone, la scelta a gas risparmierebbe oltre 2900 morti premature, mentre sarebbero 3400 le morti premature evitate scegliendo di produrre da fonti rinnovabili come l’eolico e il solare.
In un periodo nel quale il caso Ilva impone ai lavoratori e ai cittadini di Taranto la scelta tra il diritto alla salute e quello altrettanto prezioso, del diritto al lavoro, è un obbligo per le istituzioni considerare tutte le osservazioni e le alternative al momento opportuno. Il più delle volte, gli errori e i danni conseguenti vengono scoperti troppo tardi.
Mettiamo a confronto due progetti a pochi km di distanza: la centrale di Porto Tolle a carbone e la centrale di Loreo a gas.
Secondo le Valutazioni d’Impatto Ambientale – entrambe favorevoli –, la centrale a gas (a parità di potenza installata e di ore di funzionamento) produce il 17% in più di particolato, che è il veicolo principale degli inquinanti in atmosfera.
Questi sono i dati valutati dai tecnici competenti: tra l’altro, i camini delle centrali a gas sono alti 4 volte meno, e così portano più ricadute al suolo.
Onufrio, invece, sostiene che “il gas è dimostrato che altera il clima ma non provoca danni sanitari diretti ai cittadini”. Queste sono le balle che Greenpeace ha fornito senza nessun monitoraggio al suolo e senza nessuna indagine epidemiologica a EcoSenseWeb, che è solo un software per programmare ipotesi, disponibile a 310 euro.
Il problema non è né una centrale a carbone come Porto Tolle, né una centrale a gas come Loreo, che producono emissioni inquinanti ma senza impatti significativi per la salute. Il problema vero sono le balle di Greenpeace.