Diario da Taranto – Eroi di oggi e di domani
di Greta Marraffa
All’ombra dell’ultimo sole, s’era assopito un pescatore
e aveva un solco lungo il viso,
come una specie di sorriso.
(F.De Andrè)
Il conto alla rovescia è lo stesso di ogni anno. In quei dieci secondi, la mente ritrasmette e rievoca tutti i momenti più intensi e significativi dell’anno ormai passato. Dieci secondi, che appaiono un’eternità: attimi, frazioni di secondo, sguardi, sorrisi e baci non dati, occasioni perse e lacrime salate.
Taranto, fa i conti con un 2012, energico e particolare. Un anno di paradossi e contraddizioni: sogni e vite infrante, sentimenti di ribellione e di riscatto. Pulsa il cuore di una città da sempre dormiente, che diviene in pochi mesi simbolo e laboratorio politico, palestra in cui viene esercitata un’autentica ed originale ginnastica: quella della mobilitazione dal basso, della pratica del dissenso e del coinvolgimento popolare.
Ogni volto, una storia da narrare. E quel brindisi a fine anno è quasi liberatorio. C’è chi pensa al mutuo da pagare, c’è chi invece si chiede se tornerà a lavorare, c’è chi ancora attende la tredicesima e chi maledice il giorno in cui, quel pomeriggio freddo di dicembre, decise di non salire su quel treno.
Nel 2012 si è combattuta una guerra tra titani, una battaglia spietata in cui ad esserne coinvolte sono state le tante anime che compongono questa comunità. Una comunità indifesa e disarmata, che nell’estate torrida di un luglio umido e afoso ha ripreso coscienza.
Consapevole di essere artefice del proprio futuro, è riscesa in piazza, reclamando i propri diritti. La piazza è tornata ad essere fulcro centrale e spazio protagonista della vita cittadina, attraverso la condivisione e la riappropriazione di un forte ed intenso spirito di appartenenza.
Un grido di speranza e di rabbia che ha acceso l’attenzione dei media e di tutto il paese, dediti a seguire le vicende di questa terra solo ed esclusivamente , rivolgendo maggiore attenzione al caso del “mostro di Avetrana” e alla vicenda dei due Marò, di cui uno, Massimiliano Latorre, Tarantino doc. Quest’ultimo accolto ed acclamato come eroe nazionale, ha potuto anche ricevere la benedizione di Don Marco, nella chiesa del Carmine, durante la notte di Natale, alla presenza di mass media e curiosi.
Ed è così, che questo paese e a seguire questa terra, dimostrano l’incapacità di sapersi rappresentare, se non come vittime, manifestando palesemente quanto il concetto legato al termine “eroe”, sia così labile e fugace. Di come vi siano uomini “virtuosi” di serie A e di serie B e di quanto la morte di un operaio, schiacciato dai rulli della macchina, desti meno scalpore e rabbia, di una detenzione in India, per alcuni ingiusta, per altri meritata, a seguito dell’uccisione di due semplici pescatori.
Gli eroi dei nostri tempi non hanno nomi e cognomi acclarati e popolari, non ricoprono le pagine dei giornali nazionali, nessuno mai premierà loro, con medaglie d’oro o con tanto di tricolore: sono quelli che lavorano in un posto di ”merda” per poter mantenere i propri figli all’università, quelli costretti a rimanere rinchiusi nelle sale di un ospedale tetro e freddo, quelli che ogni giorno cercano di immaginare e sognare un futuro differente, a cui spesso vien sottratta anche la fantasia, oscurata dai fumi grigi di un contesto sociale ingrato ed indifferente a valorizzare le proprie ricchezze.
E’ ora di smantellare le luci e i festoni dai balconi, di riportare gli alberi di natale in cantina, sigillandoli minuziosamente, conservando assieme ad essi, anche il bilancio di un 2012 altalenante: un mix di dolce e di amaro, un contenitore di emozioni e di sofferenza.
L’anno della fine del mondo, l’anno in cui l’apocalisse per qualcuno è arrivata, senza destare troppo rumore. In questa terra pulsante del meridione, c’è chi muore lentamente senza accorgersene, schiavo dell’abitudine e del grigiore quotidiano, c’è chi invece, tra mille difficoltà, a denti stretti, conserva gelosamente l’ossigeno e la linfa, sufficiente per poter sopravvivere.