Diario da Taranto – Avere vent’anni
di Greta Marraffa
Ai tempi di mia nonna non si buttava via niente. Nemmeno l’esperienza. Un bacio era una cosa rara nella vita di una persona e veniva custodito come un tesoro. Il dolore si conservava gelosamente per non dimenticarlo. E da quello si imparava. Adesso calze, dolori e baci, consumiamo tutto, rompiamo tutto, ci disfiamo di tutto.
Marcela Serrano – tratto da Il tempo di Blanca
Emissioni anomale di fumi “killer”. Non è la trama di un film di Dario Argento, né la descrizione di un paesaggio industriale ottocentesco, racchiuso in una tela. Questa è la tragica realtà che ossessiona la città dei due mari: la terra che ospita l’impianto siderurgico più grande d’Europa.
Odori nauseabondi, malessere sparso, mal di testa lancinante. Ti accorgi di esser diventata cavia da laboratorio. Lo strumento da sperimentazione, l’agnello sacrificale, immolato sull’altare del profitto e del capitalismo. O sei produttivo o sei fuori. “Questo è il progresso”- ci vien detto. “Immaginate un mondo senza acciaio, impossibile”-sostengono.
In poche settimane siamo ritornati alla ribalta: Taranto, centro propulsore dell’economia nazionale, anello fondamentale del mercato europeo. Non pensavo fossimo così importanti, venendo costantemente considerati, cittadini di serie b, di un meridione dimenticato, estinto, isolato.
Sono figlia della mia epoca: l’epoca del progresso, della tecnologia avanzata e della sovranità della finanza. Sono anche protagonista di una fase storica in cui determinati principi e valori vengono costantemente messi in discussione, in cui si assiste allo smantellamento dei cardini essenziali del welfare state, causando irrimediabilmente un forte senso di precarietà e di spaesamento.
Si, perché a 22 anni, senza un pezzo di carta in mano, sei più precario dei precari. Perché se vuoi studiare devi farlo lontano da casa, perché la tua terra poco ti offre. E se non hai mamma e papà alle spalle, sei costretto a lavorare in qualche call center o come cameriera in nero, cercando, contro mille difficoltà, di riuscire a laurearti in tempo, altrimenti vieni considerato un bamboccione.
La questione occupazionale legata al siderurgico, non è l’unica piaga che affligge questa terra. Vi è un popolo di invisibili che non riesce ad avere le prime pagine dei giornali, che il più delle volte cerca e spera di trovar fortuna lontano da qui.
Siamo un popolo di sognatori, ci piacciono il sole e i colori, e proprio in queste settimane invernali, in cui il grigiore delle nuvole, eclissa a tratti i nostri desideri più ardenti, ci rendiam conto di esser soli.
La stessa solitudine e rassegnazione che provava un’anziana signora sulla barella dell’ospedale. Sguardo perso, quasi inesistente: avrebbe iniziato la chemio. I parenti intorno, presi a discutere e parlare ad alta voce, quando a quella donna sarebbe servito solo un po’ di silenzio.
A Taranto, quando t’ammali anche per una banale influenza, hai timore che dei semplici sintomi di malattie stagionali, siano qualcosa di più grave. E nelle sale bianche e tiepide dell’ambulatorio, ogni letto trasuda storie di umanità e sofferenza.
Non è facile innamorarsi qui.
L’incapacità di riuscire a comunicare, si riflette anche all’interno dei rapporti amorosi, trasformando anche quest’ultimi in “contratti a progetto”. E’ un forte senso di frustrazione, in grado di riuscire a farti sentire inopportuna in qualsiasi luogo, rendendoti straniera, anche nella tua terra.
Cercare continuamente la normalità, in una mare di anomalie, è davvero un’impresa eroica. Scavare, per trovare l’acqua o un’oasi, in questo deserto, è quasi da folli.
La follia, di chi ancora a denti stretti, non può fare a meno di credere che andar via, acquieta in parte il proprio malessere, perchè per riuscire a capire il percorso giusto da fare, è necessario riuscire a regolare, la bussola del proprio cuore.
Foto di Gabriele Benefico Art on Facebook