Competitività industriale. L’Italia del manifatturiero non conquista i mercati esteri.

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di Emiliana De Santis

Il primo Rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi italiani, pubblicato lo scorso 20 febbraio in versione e-book è insieme un segno di innovazione e un grido di dolore. Esce in forma digitale, fruibile su un qualsiasi iPad o smartphone, segno che i tempi, anche in Italia, stanno cambiando. I risultati dello studio sono però meno incoraggianti. Le aziende italiane hanno visto crescere il volume di export interno all’Unione ma poco o per nulla battono i grandi mercati internazionali: elevati costi di produzione e scarso accesso al credito stanno fortemente limitando un settore che già soffre le ridotte dimensioni e la mancanza di strategie di lungo periodo.

L’Istituto statistico italiano, considerata anche l’attualità del tema, ha inteso fornire un quadro dettagliato e tempestivo sulla struttura, la performance e la dinamica del sistema produttivo italiano. Il Rapporto valorizza le informazioni statistiche esistenti sui settori economici: 70 indicatori, quando possibile in serie storica, accompagnati da schede informative, valutano ogni comparto nel suo complesso, mettendo insieme il comportamento delle singole aziende del settore. Questo permette non solo di leggere e capire le dinamiche settoriali più recenti ma di avere un quadro globale di tutto il secondario italiano. Per il 2012 lo studio si è focalizzato sulle dinamiche e sulle strategie di export delle imprese nel corso degli ultimi anni, con uno sguardo alle scelte imprenditoriali previste per il 2013 e alle strategie di internazionalizzazione con l’obiettivo di comprenderne gli effetti sulle performance d’impresa e di settore. Ogni anno, infatti, il Rapporto approfondirà temi centrali del dibattito economico e sociale, così da focalizzarsi sulle dinamiche industriali e manifatturiere che più da vicino posso contribuire al rilancio dell’economia italiana.

Tra gennaio – novembre 2010 e gennaio – novembre 2012, le 45 mila imprese manifatturiere esportatrici hanno complessivamente aumentato le vendite all’estero di circa l’11 per cento e all’incirca la metà di queste lo hanno fatto per un valore complessivo di 56 miliardi di euro. Il 35,7 per cento delle imprese (circa 16 mila unità) ha aumentato l’export sia verso l’area Ue sia verso i paesi extra-europei mentre il 16 per cento ha invece diminuito le vendite in entrambe le aree di sbocco. Spicca il dato relativo alle esportazioni extra-Ue: circa 9mila imprese hanno consolidato la posizione intra-comunitaria a scapito di quella extra-Ue appunto. Un sintomo di quanto il commercio, specie in Italia,  abbia assunto i connotati sempre più angusti della dimensione comunitaria, vantaggiosa perché iper protetta, a discapito invece dei mercati internazionali sui quali molte aziende italiane non sono in grado di competere. I principali ostacoli all’espansione dell’export indicati dalle imprese sono la difficoltà di comprimere i costi di produzione e i vincoli di accesso al credito. Un numero più contenuto di imprese segnala impedimenti dovuti a scarse capacità di offrire servizi all’estero, limitate capacità manageriali a operare su scala internazionale e dimensioni aziendali insufficienti. Il problema delle dimensioni aziendali riguarda circa il 25 per cento delle piccole imprese e il 20 percento delle medie che, in mancanza di idee e dei soldi per realizzarle, non riescono ad approcciare i mercati emergenti.

A differenza di Francia e Germania, l’Italia non ha recuperato i livelli pre-crisi di Pil. Nel 2011-2012 il driver della crescita sono state le esportazioni nette, ma queste derivano da una caduta delle importazioni a fronte di una modesta crescita delle esportazioni piuttosto che da una reale strategia industriale. Ancora una volta, a mancare, è la visione di lungo periodo.

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