Muore Chavez e la rivoluzione?
di Andrea Ottolenghi
Dopo due anni di dure lotte contro il cancro, il leader della Rivoluzione Bolivariana non ce l’ha fatta a superare il suo ultimo intervento chirurgico all’Havana e a prendere le redini del suo quarto mandato presidenziale, lasciando così il Venezuela nel lutto e nel caos politico.
Il vicepresidente Nicolas Maduro, indicato dallo stesso Chavez come successore alla presidenza, ha, infatti, denunciato l’esistenza di un “piano per destabilizzare il Venezuela”, che tra i vari punti prevedeva anche l’assassinio del Presidente, e che sarebbe messo in atto dai nemici storici del Venezuela. Così, nelle ore successive al decesso del Presidente, sono stati espulsi due addetti militari dell’ambasciata Usa con le accuse, ad uno, di aver sabotato il sistema elettrico generando dei black-out, e all’altro, di aver proposto piani cospiratori a ufficiali venezuelani per indurli a organizzare un golpe contro il governo chavista. Maduro ha anche promulgando 7 giorni di lutto nazionale, lo spiegamento delle forze armate su tutto il territorio e l’istituzione di una commissione d’inchiesta, formata da scienziati, per accertare le reali cause sulla morte del leader venezuelano.
Nel frattempo un fiume di persone piangenti il loro leader si riversava per le strade della capitale, talvolta accusando anche la “destra corrotta” di voler distruggere tutto il lavoro svolto fin’ora da Chavez, minacciando ulteriormente la già precaria situazione venezuelana. Il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, assieme agli esponenti della destra venezuelana, bollano il complotto come infondato e ribadiscono il cordoglio per la scomparsa di Presidente, oltre che ad auspicare un cambiamento nelle politiche del Paese.
Ai funerali hanno partecipato tutti i capi di Stato del continente Sudamericano (ad eccezione di quello argentino, assente per impegni parlamentari), 57 delegazioni estere di vari Stati ed organizzazioni di tutto il mondo, oltre che una folla oceanica di gente proveniente da tutto il Venezuela. Per il momento nessuno, però, sembra voler parlare del problema principale del Paese, quello della successione, che vede scontrarsi il delfino dell’ex-Presidente Nicola Maduro, indicato ora come reggente del Ministero degli Esteri, e il Presidente del parlamento Diosdado Cabello, ex-militare, chavista della prima ora, divenuto sempre più ricco e influente nelle questioni politiche del paese.
Di fatto, il problema della successione fa risorgere vecchie paure: secondo la Costituzione venezuelana il reggente del governo dovrebbe essere il Presidente del Parlamento, quindi Cabello, ma, contrariamente alle leggi costituenti, Chavez ha designato verbalmente Maduro come suo successore; e sempre secondo la Carta Costituente, dopo 30 giorni dalla morte del Presidente, dovrebbero tenersi nuove elezioni, cosa che sembra al quanto improbabile visti i tempi organizzativi del governo tecnico e della campagna elettorale. In conclusione, tutte queste deroghe alla Costituzione non fanno altro che aumentare sensibilmente il rischio di un golpe militare, pericolo che di giorno in giorno diventa sempre più concreto, vista anche la congiunzione di due elementi: la crescita economica del Paese, grazie soprattutto agli utili provenienti dalla nazionalizzazione dell’oro nero, e una democrazia notevolmente fragile, basata fin’ora sulla presenza di un’unica persona.
Arruolatosi nell’esercito a 17 anni, Chavez, insieme ai suoi compagni, ha sviluppato una dottrina nazionalista di sinistra, divenuta poi nota col nome di “bolivariana”, perchè ispirata dalla filosofia del rivoluzionario ottocentesco Simón Bolívar, “El Libertador” del continente Sudamericano, come lo avevano soprannominato gli spagnoli. Nel 1991, Chavez viene promosso a Colonnello e già un anno dopo, si rende protagonista di un colpo di Stato volto a rovesciare il Presidente Carlos Andrés Pérez. Il golpe fallì e Chavez venne imprigionato, ma questo non fece altro che aumentare la sua fama tra la gente, che cominciava a toccare i toni mistici della leggenda popolare e che costrinse Pérez a scarcerarlo per amnistia, nel ’94.
Le prime elezioni le vinse nel 1998, per poi rivincere nel 2000, 2006 e 2012, resistendo a un golpe e a vari tentativi d’assassinio. Circa 14 anni di potere consecutivi, sorretti dal voto di un popolo che, fino a poco tempo fa, contava le percentuali più alte di povertà e disuguaglianza: 3 venezuelani su 4 stavano sotto la soglia di povertà.
Tra le battaglie promosse da Chavez ci sono la lotta contro l’analfabetismo, la malnutrizione, la povertà e soprattutto quella contro l’aumento di infezioni oggi inesistenti in Occidente, ma molto diffuse nelle Favelas (come la malaria). Tra i provvedimenti più significativi dei suoi governi ci sono: l’aumento progressivo degli stanziamenti per la ricerca pubblica; l’aumento del 40% allo stipendio degli insegnanti, borse di studio e istruzione gratuita; nazionalizzazione dei pozzi petroliferi; creazione delle cooperative e abolizione dei latifondi; incremento di circa 600 strutture in più alla sanità pubblica, anch’essa gratuita; creazione di una “Banca Popolare” a bassi crediti per l’acquisto delle abitazioni; blocco della fuga dei capitali; uscita del Venezuela dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale; provvedimenti che dal 1999 ad oggi, hanno costantemente fatto crescere il Pil del Venezuela. Per ora solo una battaglia sembra aver perso Chavez, la più orrenda e difficile, quella contro il cancro.
Dall’altra parte i suoi avversari lo accusano di essere un “populista autoritario” e di accanirsi ingiustificatamente contro le fasce più alte della società, indipendentemente da come queste si siano arricchite e di monopolizzare e strumentalizzare il dibattito pubblico e i mezzi d’informazione a discapito delle voci che si oppongono alla sua politica. Ma tra chi lo paragona a Hitler e chi lo venera come un Dio, quello che di certo resta di Chavez è il vuoto che lascerà nel suo popolo. Forse è proprio per colmare simbolicamente questa mancanza, che Nicolas Maduro ha deciso che il corpo di Chavez sarà imbalsamato, affermando che la gente vuole vederlo, vuole parlargli, vuole sapere che esiste, proprio come fu per Lenin, Mao, Ho Chi Min.