La precarietà dell’orario di lavoro: il contratto part-time
di Danilo Volpe
Il rapporto di lavoro non è soltanto limitabile nella sua interezza – come nel caso del contratto a termine – ma anche nella sua durata quotidiana; è, infatti, noto a tutto che le aziende possono stipulare contratti part-time, vale a dire contratti di lavoro ad orario ridotto rispetto a quello previsto dalla legge o dai contratti collettivi.
Le normative che hanno regolato il contratto di lavoro part-time sono stati molteplici nel corso del tempo: attualmente, tuttavia, il cuore della normativa è racchiuso nel Decreto Legislativo n. 61/2000, anch’esso parzialmente modificato da parte della Riforma Fornero.
Proprio l’anzidetto decreto contiene una tipizzazione dei contratti di lavoro part-time, distinguendo in part-time orizzontale (nel caso di orario giornaliero ridotto), part-time verticale (nel caso di prestazione lavorativa limitata ad alcuni giorni, mesi o settimane) e part-time misto (una combinazione fra i primi due tipi).
Come nel caso del contratto di lavoro a tempo determinato, anche la disciplina del part-time prevede che il contratto di lavoro contenga dei requisiti formali, primo fra tutti l’esatta indicazione della durata della prestazione lavorativa nonché, nel caso di part-time verticale, della sua collocazione in un determinato periodo dell’anno, del mese o della settimana.
Chiunque sia un lavoratore part-time e sia interessato a comprendere la genuinità del suo contratto di lavoro, pertanto, dovrà verificare la presenza del predetto requisito formale: la sua assenza, infatti, pur non comportando la nullità del contratto, può comportarne (previa pronuncia giudiziale) la conversione in un contratto di lavoro a tempo pieno.
Dal punto di vista sostanziale, invece, la legge prevede il cd. principio di non discriminazione del lavoratore part-time: egli, infatti, godrà degli stessi diritti di un lavoratore full-time, con le ovvie riduzioni di retribuzione per il minor orario di lavoro.
Le domande che attanagliano i lavoratori part-time sono, comunque, altre: può il datore di lavoro pretendere lavoro supplementare rispetto a quello contrattualmente pattuito? Può modificare unilateralmente la collocazione temporale della prestazione?
Per ciò che concerne il lavoro supplementare, la risposta dipende dalle disposizioni dei contratti collettivi: la legge, infatti, prevede che è necessario il consenso del lavoratore, salvo che l’obbligatorietà dell’effettuazione di lavoro supplementare non sia prevista e regolamentata dai contratti collettivi.
Per rispondere alla seconda domanda, invece, è opportuno rifarsi alla disciplina delle cd. clausole flessibili e clausole elastiche: le prime sono quelle che permettono al datore di lavoro di modificare la collocazione temporale della prestazione; le seconde, viceversa, prevedono il diritto del datore di aumentare la durata della prestazione lavorativa (nel caso di part-time verticale).
In primo luogo, presupposto indefettibile per l’applicabilità di tali clausole è la loro previsione e regolamentazione da parte dei contratti collettivi nazionali; occorre altresì il consenso scritto del lavoratore interessato che può essere prestato sin dal momento dell’assunzione. Tale consenso, tuttavia, una volta prestato non è facilmente revocabile: si pensi che solo la Riforma Fornero, nel 2012 dunque, ha riconosciuto il diritto di revoca ai lavoratori affetti da malattie oncologiche e ai lavoratori studenti.
Se il datore di lavoro vuole procedere alle anzidette modifiche, inoltre, deve necessariamente darne preavviso al lavoratore (il termine legale è di due giorni).
Concludendo, il lavoratore part-time pare meno tutelato rispetto al lavoratore a termine: sono rarissimi, infatti, i casi in cui può essere disposta la trasformazione del rapporto di lavoro part-time in un rapporto di lavoro full time.
Parimenti assente è il diritto del lavoratore full time alla trasformazione del suo rapporto di lavoro in uno part-time: tale diritto sussiste, infatti, esclusivamente in capo ai lavoratori affetti da malattie oncologiche che abbiano altresì una ridotta capacità lavorativa.
Il motivo di una siffatta scarsità di tutele è presto detto: il contratto di lavoro part-time nasce come strumento contrattuale rispondenti ad esigenze primarie (ad esempio di studio o di maternità) dei lavoratori stessi. In altre parole, il contratto part-time serve innanzitutto ai lavoratori e, successivamente, alle aziende.
Nella realtà dei fatti, tuttavia, non sempre è così, in quanto tale contratto è spesso utilizzato come mera facciata: è assai frequente, infatti, che un lavoratore venga assunto part-time ma lavori full-time, con un ovvio risparmio di contributi e tasse per le casse, sempre più vuote, dei datori di lavoro.
Buongiorno… Sono un lavoratore part-time del commercio (24ore) Trovo questa legge Assurda e inopportuna per qualsiasi lavoratore e controproducente per la società . Ho dovuto accettare mio malgrado al termine del contratto a tempo determinato una riduzione d’orario oppure in alternativa licenziamento dopo 2 anni in cui facevo parecchio straordinario e guadagnavo uno stipendio praticamente full-time ora con la crisi mi ritrovo a fare le mie ore previste e uno stipendio di 700€ al mese ma vincolato dalla flessibilità che a piacimento del datore di lavoro mi tiene impegnato 6 giorni su 7 comprese domeniche e festivi non vi sembre uno sfruttamento vero e proprio ? premetto che ho 48 anni e in questo modo comprometto anche la situazione previdenziale pensionistica….che fare????