Tornare alla Lira? Si stava meglio quando si stava peggio, o forse no?
di Francesco Galati
Negli ultimi tempi non è difficile imbattersi in persone che discorrono dell’abbandono, da parte dell’Italia, della moneta unica europea.
Queste discussioni nascono da un’idea di fondo che è tanto forte quanto preoccupante: le parole del leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Piero Grillo, in arte Beppe, che spesso paventano questa possibilità; è di alcuni giorni fa la proposta di effettuare un referendum anche online per decidere se abbandonare o meno la moneta unica europea.
Una proposta sensata, ma anche no – Le basi su cui Grillo propone questo ritorno al passato, possono sembrare solide ma in realtà non tanto quanto sia ragionevole pensare. Diversi economisti avvalorano la tesi grillina, tuttavia sembrano non tener conto, nelle loro teorizzazioni, di una serie di dinamiche extra economiche che invece andrebbero prese in considerazione molto più attentamente. Un esempio esplicativo è quello di teorizzare il ritorno alla Lira prospettando uno scenario in cui l’Italia riacquisti il debito contratto con gli altri paesi (anche se non si è ben capito con quali fondi), per poi abbandonare la moneta unica e ritrattare i tassi, questo dando per scontato che gli altri paesi europei siano poi interessati a trattare attivamente con chi ha, volutamente, forzato il sistema economico europeo, portando a degli squilibri interni al paese Italia, che vengono prospettati come simili al crack argentino a cavallo tra gli anni novanta e i primi anni duemila.
E’ proprio in questo parallelismo, che non sembra spaurare gli economisti a favore del ritorno al vecchio conio, che andrebbe invece rivisto e corretto il tiro, l’Argentina poteva contare su di un tessuto sociale completamente differente rispetto a quello italiano, ma la più grande perplessità su cui soffermarsi è la sicura perdita di competitività nel breve e medio termine, competitività che al giorno d’oggi è stata già ampliamente intaccata da una crisi economica forte e duratura.
Italia sì, Italia no – Forse non tutti sanno che per adottare la moneta unica bisogna rispettare degli stringenti parametri che riguardano: debito pubblico, rapporto deficit PIL, inflazione e tassi d’interesse sui titoli di Stato in rapporto ai tre stati membri con la minore inflazione.
Quando l’Italia adottò la moneta, al tempo del governo Prodi, furono fatti molti aggiustamenti ai conti pubblici pur di riuscire a rientrare negli stringenti parametri, o comunque ad entrare con riserva, proponendo dei dati che potessero far sembrare adeguato l’accesso alla moneta unica, come l’Italia, il Belgio, si trovò nella stessa situazione.
Austerity e dubbi legittimi – Viene allora da chiedersi se le forti critiche alla politica dell’austerity attuata a livello europeo, siano fondate o meno?
A pensarci bene sì. La Germania è accanita sostenitrice di questa linea di politica economica, che potremmo dire forzosamente applicata nei paesi più in difficoltà in questi ultimi anni di crisi, le critiche più importanti mosse verso l’austerity riguardano un aspetto molto pratico: se da un lato è vero che rimettono in ordine i conti, siamo sicuri che siano proprio quei conti a determinare la crisi di un sistema paese?
E allora rinunciare alla moneta unica avrebbe senso?
Molto probabilmente no, sarebbe più sensato riacquistare un po’ di credibilità sia dal lato economico che, soprattutto, da quello politico, per poi fare delle proposte, sensate, per migliorare l’unione e non per cercare la divisione.
Scusa, ma dall’articolo risultano chiare diverse: che a lei manca qualsiasi base di economia; che non è informato su cosa significhi lasciare l’unione monetaria; che non è informato su cosa significhi rimanere nell’unione monetaria; che non è informato. Insomma, risulta chiaro che sta parlando di cose che non conosce. Sono passati circa 3 anni dall’articolo, spero abbia usato quest’arco di tempo per informarsi.
*Scusi