Croazia – Serbia. Un calcio al pallone per scacciare gli orrori del passato
di Francesco Morrone
A Zagabria si temeva che potesse finire come accadde nel maggio del 1990, quando si doveva giocare Dinamo Zagabria contro Stella Rossa di Belgrado ma alla fine non si giocò. Non ci fu nessuna partita. Il pallone lasciò il posto a cariche e scontri fra polizia e calciatori, e fa sempre un certo effetto rivedere Zvonimir Boban immortalato mentre dà un calcio a un poliziotto. Una settimana prima di quella partita gli ultranazionalisti del criminale di guerra Franjo Tudman avevano vinto le elezioni in Croazia, e quella partita divenne presto l’emblema dello sgretolarsi della Jugoslavia. Quasi un anno dopo, infatti, i primi conflitti secessionisti tra serbi e croati diedero vita alla terribile guerra dei Balcani. Per questo, la sfida di venerdì allo stadio Maksimir era attesissima, perché per la prima volta dopo la fine della guerra, Croazia e Serbia si affrontavano di nuovo, su un campo di calcio.
Si giocava per le qualificazioni ai prossimi mondiali in Brasile, e la Croazia guidata da Igor Stimac ci arrivava prima del girone con i suoi dieci punti, distante sei lunghezze dai “cugini” serbi di Sinisa Mihajlovic. Proprio l’ex interista, che dal maggio 2012 guida la nazionale serba, aveva riscaldato la vigilia con le sue affermazioni su Zeljko Raznatovic, in arte Arkan, il capo delle feroci formazioni paramilitari serbe scomparso nel 2000. “Era un mio amico molto prima che cominciasse la guerra – ha detto Sinisa – ma i suoi crimini non li difendo, restano orribili”.
Così, mentre la Croazia ha potuto tranquillamente svolgere l’allenamento pre-gara a porte aperte sfruttando l’abbraccio del proprio pubblico, la selezione serba è stata costretta a farlo a porte chiuse, quasi di nascosto; la disparità di trattamento, accentuata dal divieto ai tifosi serbi di assistere al match, ha fatto sì che la federazione serba inoltrasse una protesta ufficiale. La partita, quella di calcio, alla fine si è giocata alle sei del pomeriggio, con un clima pesantissimo e con il forte timore di ultras infiltrati, nonostante per il tifo organizzato le frontiere fossero chiuse. La Fifa, preoccupata non poco, aveva minacciato di interrompere la partita in caso di violenze o cori xenofobi. Ma per fortuna così non è stato. Certo, l’inno nazionale serbo è stato sonoramente fischiato, e a dire il vero dagli spalti è arrivato anche qualche coro nazionalista, ma stiamo parlando di poche cose per una partita che aveva portato le forze dell’ordine a blindare la città. Qualche tifoso, prima della partita, è stato condotto in questura perché indossava insegne nazifasciste, qualche altro, invece, per turbamento dell’ordine pubblico.
Alla fine la partita l’ha vinta la Croazia che, grazie ai gol di Mandzukic e Olic al 23’ e 36’ del primo tempo, vola al primo posto del girone a quota 13 punti in cinque gare e condanna la squadra di Mihajlovic, ormai con un piede e mezzo fuori dal Mondiale. Partita chiusa in mezz’ora, con la Serbia senza idee che si sveglia tardi e reagisce senza mai pungere. A complicare la situazione dei serbi è arrivato anche il successo del Belgio che ha vinto 2 a 0 in Macedonia raggiungendo così in vetta la Croazia. Addio Rio, insomma, ma almeno la Serbia ha vinto la sua personale partita contro i fantasmi, contro quell’odio che da sportivo diventa nazionale sfociando nella violenza etnica. Stavolta la violenza non c’è stata, la partita è stata solo una “partita di pallone”. Perché non sempre è scontato che è di sport che si parla.