Studio e lavoro? Non solo con il contratto di apprendistato ma anche con lo stage
di Danilo Volpe
L’ultimo appuntamento con la nostra rubrica settimanale ha avuto ad oggetto il contratto di apprendistato che, come abbiamo visto, è lo strumento prediletto dal legislatore per consentire ai giovani l’ingresso nel mondo del lavoro.
Il contratto di apprendistato, tuttavia, non è il solo a coniugare studio e lavoro: esiste, infatti, anche il contratto di tirocinio formativo, meglio conosciuto come stage, che permette di “formarsi, lavorando”.
Il contratto di stage è uno strumento contrattuale pensato dal legislatore quale mezzo per introdurre i giovani nel mondo del lavoro, permettendo loro di acquisire esperienza pratica direttamente sul campo: esso, infatti, ha solitamente una durata molto breve e conclude un percorso di studio, quale ad esempio un Master.
Occorre sin da subito sottolineare che lo stage non è un contratto di lavoro subordinato: come vedremo in seguito, infatti, esso non obbliga il datore di lavoro a corrispondere la retribuzione allo stagista: la finalità principale di esso, quindi, è sicuramente quella formativa.
Oggetto di una disciplina normativa in passato notevolmente stratificata, il contratto di stage è stato definitivamente regolamentato dalla Legge n. 196/1997 e recentemente “puntellato” dalla Legge n. 92/2012, la cd. Riforma Fornero.
Come già anticipato, i destinatari prediletti del contratto di stage sono i giovani che abbiano già assolto l’obbligo scolastico; per la sua stipulazione, tuttavia, lo stage necessita di una preesistente convenzione tra un soggetto promotore ed un soggetto ospitante.
Il soggetto promotore è, volgarmente, il soggetto che si preoccupa di “inviare” il giovane da un determinato datore di lavoro che intenda servirsene: in ossequio alle finalità della normativa, tali soggetti hanno natura sia pubblica che privata, non hanno scopo di lucro e generalmente sono agenzie per l’impiego e/o istituzioni scolastiche e formative.
Il soggetto ospitante è, invece, il vero e proprio datore di lavoro: in questo caso la Legge non pare molto restrittiva, offrendo la possibilità di ospitare tirocinanti sia a datori di lavoro pubblici che privati.
Così come tutti i contratti sinora esaminati, anche il contratto di stage ha una durata massima prestabilita, variabile a seconda del livello di istruzione dei tirocinanti, nonché delle loro caratteristiche soggettive (ad es. lavoratori portatori di handicap, disoccupati ecc.).
Stringenti appaiono inoltre gli obblighi sussistenti in capo al soggetto ospitante: egli, infatti, è obbligato a redigere un apposito piano formativo e a consegnarlo al tirocinante; deve assicurare tutti i tirocinanti presso l’INAIL, al fine di garantir loro le necessarie coperture previdenziali in caso di infortunio sul lavoro; deve trasmettere copia della convenzione stipulata col soggetto promotore alla Regione, alla Direzione Territoriale del Lavoro e alle organizzazioni sindacali.
Tra gli obblighi summenzionati, quello sicuramente più importante è l’obbligo di redigere un particolareggiato piano formativo. Sul punto, la Legge si preoccupa perfino di descriverne analiticamente il contenuto, onde evitare che esso si riduca ad una mera elencazione di vuoti intenti. Il piano formativo, dunque, deve indicare gli obiettivi e le concrete modalità operative del tirocinio, il nome del tutore e del responsabile aziendale (nominati rispettivamente dal soggetto promotore e dal soggetto ospitante) ed, infine, la durata del contratto.
L’aspetto peculiare del contratto di stage – che, com’è ovvio, lo rende notevolmente appetibile ai datori di lavoro – è, tuttavia, l’assenza dell’obbligo retributivo: il datore di lavoro, o soggetto ospitante che dir si voglia, non è, infatti, obbligato a pagare la retribuzione al tirocinante; egli deve soltanto corrispondergli un “rimborso spese”, necessario per coprire, ad esempio, i costi di trasporti.
Fortunatamente, la Riforma Fornero ha mitigato tale esonero: ora, infatti, il datore di lavoro è obbligato a corrispondere al tirocinante “una congrua indennità”, parametrata alla prestazione svolta.
Quale che sia il parametro mediante cui verificare la congruità dell’indennità non è ancora dato saperlo; si tratta, comunque, di una disposizione che dovrebbe frenare la concezione – purtroppo largamente diffusa in tutto il nostro mercato del lavoro – secondo cui il lavoro di un tirocinante equivale a lavoro gratuito.