Università: Strasburgo dice si al numero chiuso
di Emiliana De Santis
Con una sentenza che non ha mancato di suscitare aspre polemiche, la Corte Europea dei Diritti Umani ha respinto il ricorso di otto studenti italiani decretando che il numero chiuso per l’accesso alle università non solo è ragionevole ma anche legittimo e non viola affatto i diritti affermati nella Carta Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu). Strasburgo prova così a porre fine a lunga diatriba che da anni oppone studenti e università sul tema del numero programmato, in vigore in Italia per le professioni sanitarie, per architettura e scienze della formazione.
Il numero chiuso – o meglio, il numero programmato – è stato introdotto in Italia quasi 15 anni fa dall’allora ministro dell’Istruzione Ortensio Zecchino, con lo scopo di regolare l’accesso a talune lauree per le quali si riteneva necessaria una preparazione che solo i piccoli numeri possono consentire e per attuare un qualche tipo di ingegneria sociale che limitasse la dilagante disoccupazione, ritenuta un costo enorme. “Un obbligo – dice Andrea Lenzi, presidente del consiglio universitario nazionale – da cui non possiamo esimerci, prima di tutto per rispettare la normativa europea e per far si che le nostre lauree abbiano valore anche all’estero.” Quindi prosegue: “E’ giusto accettare il numero di studenti a cui si è certi di poter garantire attività professionalizzanti, da svolgersi in strutture adeguate e nei termini adeguati” ed è per questo che ad oggi sono il 54% del totale le facoltà italiane che programmano il numero degli accessi, comprese alcune private come Bocconi, Cattolica, Campus Biomedico e Luiss. La sentenza di Strasburgo rafforza l’idea del legislatore italiano nel momento in cui afferma che il sistema dei test soddisfa in modo equilibrato sia l’esigenza di chi aspira a frequentare i dipartimenti a numero chiuso sia quella della società di poter contare su professionisti ben preparati. Le restrizioni sono infatti ragionevoli e legittime poiché il loro scopo è garantire un adeguato livello di docenza e quindi di competenza dei futuri professionisti.
Non la pensano così gli studenti italiani, il cui ricorso è stato sostenuto dal Codacons, che si erano appellati alla Corte europea affermando che il numero chiuso viola la Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, negando il diritto allo studio che in essa è sancito. I ricorrenti, di cui 7 non hanno mai passato i test di ammissione e uno ha dovuto ripetere la prova superata otto anni prima giacché nel frattempo non aveva mai dato un esame, ritengono che il verdetto sia ingiusto e che non tenga a mente la particolarità del caso italiano in cui le disparità regionali nella formazione secondaria e le diverse disponibilità economiche costituiscono ancora un pesante vulnus per la libertà di scelta. Sulla scia delle affermazioni dell’allora presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà – “L’artificiosa predeterminazione del numero dei potenziali professionisti determina dal punto di vista economico, un ingiustificato irrigidimento dell’offerta con l’effetto di restringere il numero dei professionisti ed innalzare il prezzo delle relative prestazioni” – e confortati dall’opinione di Luigi Frati, Rettore della Sapienza, (“Era una sentenza che aspettavamo da tempo [..] ma che non mette fine alle polemiche. In realtà apre un altro fronte: come viene fatta la selezione”) i ricorrenti sperano adesso nella sentenza della Corte Costituzionale che si pronuncerà a fine aprile sull’ordinanza di remissione con la quale il Consiglio di Stato chiede il parere sulla legittimità dello sbarramento sia con la Cedu sia con gli articoli 3, 33 e 34 della Costituzione. Sono infatti numerosi i ricorsi di sindacati e associazioni studentesche come L’Unione degli Universitari (Udu) che da anni si inseguono al Tar per affermare che i test sono ingiusti e che le possibilità non sono le stesse per tutti.
Si è pensato allora alle graduatorie regionali piuttosto che nazionali e ad una maggiore considerazione del voto di diploma – anch’esso tuttavia falsato dalle dinamiche territoriali – oltre che a una riformulazione dei test e all’adozione del meccanismo francese che seleziona i più meritevoli non al primo ma al secondo anno di università. Quanto agli studenti respinti all’esame di ammissione, dovranno forse farsene una ragione visto che: “Non è stato loro negato il diritto di iscriversi ad altri corsi oppure di proseguire all’estero i propri studi oppure di continuare a ripetere il test fin quando non fosse necessario”.