Ventuno anni dalla morte del giudice Giovanni Falcone

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di Linda Ciriaci

“Potete strappare tutti i fiori, ma non potete impedire che la primavera ritorni”.

Nel nostro cuore è vivo il sorriso di Giovanni Falcone. Un sorriso colmo di speranza, fiducia, ottimismo, vitalità ed entusiasmo. Lui la speranza non l’aveva persa.

Al primo posto tra i propri valori aveva messo l’amore per la patria. E in nome di questo valore ha sacrificato la propria vita. Consapevole del proprio destino aveva deciso di continuare la sua battaglia con determinazione e coraggio  “L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa ”- affermava Falcone – “Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio è incoscienza”.

Il sacrificio al quale era disposto in nome di questo valore, si capisce dal colloquio che ebbe con Buscetta – il primo grande pentito che contribuì all’apertura dei maxiprocessi e alla condanna di 476 imputati – che lo avvertì: “Lei diventerà una star internazionale, ma il suo conto con la mafia si concluderà con la sua morte, è sicuro di voler andare avanti?” Non si preoccupi, rispose Falcone, dopo di me altri continueranno il mio lavoro. La mafia lo aveva condannato. Ma lui continuò lo stesso a camminare.

Insieme a Paolo Borsellino – ucciso il 19 luglio del 1992 – istituì il più grande processo alla mafia che si ricordi. Per la prima volta, nella storia dello Stato Italiano, fece condannare all’ergastolo in via definitiva i grandi capi della mafia, sicuri di farla franca in Cassazione, come già era accaduto.

Decisero di fermare il suo cammino, nel modo più eclatante e spaventoso. Il 23 maggio del 1992, esattamente ventuno anni fa, il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della sua scorta : Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro , trovarono la morte in un agghiacciante attentato sulla superstrada che collega Punta Raisi a Palermo, all’altezza di Capaci.

Sono le 17:58 quando la mafia compie la sua vendetta.

Quelle terribili immagini sono parte della nostra storia, una memoria condivisa fatta di lacrime sgomento ma anche voglia di reagire, di non piegarsi alla cultura mafiosa.

Solamente il tritolo, riuscì a fermare il giudice che non voleva arrendersi, che voleva camminare, che voleva affacciarsi e guardare con occhi nuovi un mondo senza mafia.

Il nostro pensiero va a quel gigante, anzi a tutti i suoi colleghi che sono stati vittime innocenti, che hanno avuto la tenacia e la forza di guardare avanti di non impedire che la primavera ritorni.

L’unica cosa che noi possiamo fare, è quella di RICORDARE per non DIMENTICARE, perché non li avete uccisi, le loro idee continuano a vivere grazie al ricordo.

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