Iran, quattro anni dopo l’Onda Verde: i giovani e le elezioni
di Alessandra Vitullo
Si sono chiuse con un mese di anticipo le università in Iran, sono in arrivo le elezioni: “vogliono evitare che noi studenti ci riuniamo per discutere di quello che accadrà il prossimo 14 giugno” afferma Mahdi, dottorando all’università di Teheran. Tutti temono, infatti, che si ripeta ciò che è accaduto nel 2009, quando migliaia di giovani invasero, con un’Onda Verde, le strade del Paese per protestare contro i brogli che avevano portato alla rielezione di Mahmoud Ahmadinejad.
A quattro giorni dalle elezioni, l’atmosfera nella Capitale è calma, ma forse solo apparentemente: “Le tv nazionali cercano di spingere le persone al voto, ma, al contrario delle precedenti elezioni, non si avverte quell’agguerrita competizioni elettorale che coinvolgeva le persone per strada, nei negozi, sui mezzi pubblici- continua Mahdi; un suo collega, Reza, anche lui dottorando in Filosofia della Scienza, aggiunge: “a causa dei brogli di quattro anni fa e per la squalifica di Akbar Rafsanjani (uno dei candidati riformisti moderati dati per favoriti ndr), la gente non si sente molto motivata ad andare votare. In realtà queste potevano, magari potrebbero, essere le elezioni del cambiamento – prosegue – anche Ahmadinejad e il suo delfino, Esfandiar Mashai, sono, infatti, fuori dalla corsa elettorale e se i due candidati riformisti Rouhani e Aref si fossero coalizzati prima, la gente si sarebbe potuta unire in una grande campagna elettorale in loro favore, come accade quattro anni fa per Hossein Mousavi.”
Una campagna elettorale composta e moderata, che si è consumata soprattutto tra televisioni e giornali, ai candidati non è stato permesso infatti di fare propaganda attraverso i social network, pena la squalifica dalla competizione; su Facebook e Twitter esistono, infatti, solo profili non ufficiali, gestiti dai supporter. A scoraggiare i cittadini al voto ci sono anche i partiti di sinistra, i quali stanno suggerendo di boicottare le elezioni per protesta contro il regime, che, negli scorsi anni, ha utilizzato anche l’affluenza alle urne per dimostrare la legittimità del suo potere.
Nel frattempo, un sondaggio fatto a maggio, nella sola città di Teheran, dall’agenzia filogovernativa Mehr, registra un distacco del 30% dei voti tra il candidato conservatore Mohammad Qalibaf ( al 35,8% ), prosecutore delle politiche di Ahmadinejad e sindaco di Teheran, e i due candidati riformisti (al 4%). Ma la Capitale sembra rispecchiare l’andamento generale del Paese, dove i candidati conservatori sembrano essere i preannunciati vincitori, forti soprattutto dell’appoggio del “Leader Supremo”, Ali Khamenei. Tra i nomi dei candidati conservatori, oltre a quello di Qalibaf, risaltano anche quelli del Consigliere per gli affari internazionali dell’Ayatollah, Ali Velayati, quello del presidente del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale, Saeed Jalili e del primo Consigliere nonché consuocero di Khamenei, Gholam Adel.
“Il regime ha troppi difetti per essere corretto facilmente con una votazione elettorale – conclude Mahdi – io sto ancora aspettando di prendere una decisione tra il boicottare o partecipare al voto. Probabilmente solo una vittoria dei riformisti potrebbe dare qualche speranza politica ed economica al Paese, ma non credo che il regime lo permetterà.” Leggermente più ottimista Reza: “I due candidate riformisti Aref e Rouhani sono due buone opzioni di voto. Io sono speranzoso per il futuro dell’Iran, soprattutto ho fiducia nella mia generazione: istruita, che attraverso i nuovi strumenti di comunicazione, si collega al mondo e vede la direzione da intraprendere per la conquista dei propri diritti. Passo dopo passo anche noi avremo la nostra democrazia.”