Under the Dome: un King da brivido

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di Beatrice De Caro Carella

Va in onda da ieri su Rai 2 la nuovissima serie CBS adattamento di nuovi scenari fantascientifici, nota come Under the Dome. La CBS, da tempo partner-in-crime del palinsesto Rai, (Criminal Minds, CSI, The Good Wife) vanta da sempre serie ben fatte, dai ritmi interessanti. A volte persino vincenti, sopratutto di genere sit-com (La Tata, The Big Bang Theory, E alla fine arriva mamma). Non è la FOX, né l’HBO, se di drama si parla. Ma a ognuno il suo.

Tratta dall’omonimo romanzo del maestro del brivido, Mr. Stephen King, la serie è sviluppata sotto la supervisione di uno degli sceneggiatori più premiati di Lost, Brian K. Vaughan (autore di fumetti già all’opera nella lontana era geo-televisiva di Buffy) e conta su una super-produzione di copertura, tra gli altri, all’ombra dall’onnipresente Spielberg. Supervisiona il tutto mastro King, nel ruolo di executive. Adattare King, tuttavia, non è scienza esatta. Anzi, uno su dieci, come osserverebbe una mia esperta amica, s’abbatte sul capo del fan la ben nota “maledizione di King”. Migliori i film delle serie (Sulle ali della libertà, Il miglio verde, Shining). Non male, tra le serie, Haven. Bruttina Shining. Accettabile I langolieri. Un cult Rose Red. Ma reca l’imprinting, e si nota, per cui è un’altra storia.

Dunque, visti i presupposti, cosa poteva andar storto? Un po’ tutto. E un po’ niente, perché Il vero dramma di Under the Dome, infatti, è essere insapore. Né brutta, né bella, né noiosa, né accattivante, né ritmata, né posata. Naturalmente, gli ascolti raccontano un’altra storia. Ma ci si è abituati.

C’è una cittadina del Maine, Chester Mill, una town “tipicamente King”; tutta trattori, cisterne, fattorie, polizia locale, diner di riferimento, case-veranda e cultura adolescenziale suburbana. Un giorno la vita dei suoi abitanti viene sconvolta. Dal nulla, una barriera invisibile s’abbatte sull’area, segando a metà tutto ciò che incontra sulla sua traiettoria falciatrice. Chester Mill si ritrova isolata, sotto una gigantesca campana di vetro-elettrostatico. Al suo apparire, incidenti e morti. Forestieri e nativi sono costretti quindi a convivere, in trappola, cercando nel frattempo ognuno le proprie vie d’uscita. Chi da bunker sotterranei, chi dalla Cupola, chi dagli occhi indiscreti di novelle Lois Lane e poliziotte more. Per nascondere ciascuno i propri segreti.

L’episodio, pur un pilota, ha una struttura anomala. È costruito come se si trattasse di un lungo set-up, che per i profani del gergo significa che a parte la cupola, qualche morto accidentale, un paio di arti mozzati, animali segati a metà e Junior che rinchiude la fidanzata in un bunker, non succeda poi molto. Micro-avvenimenti per contestualizzare. Forse troppo, inducendo la sensazione d’una sorta di atrofia dello schermo. Nel romanzo, il meccanismo “bomba a orologeria”, tipico di molti incipit di King, è ben in mostra. Chiunque sia destinato a una fine fatale ci viene prima mostrato nella sua quotidianità. Un’immagine, per raccontarci un mondo interiore; poi è il buio. E l’entità del disastro viene evocata puntando su un effetto accumulo, che pur costruendo un anti-climax – una parabola calma-caos-sviluppo – ne restituisce perfettamente la tragedia.

Show, don’t tell diceva Henry James. Under the dome, piuttosto, ribalta l’assioma, e mette in scena la “filosofia” della Cupola, ma sugli effetti/reazioni che l’evento soprannaturale causa alla psiche dell’individuo non indaga né accenna. Manca il sale della narrazione fantascientifica stessa: l’iniziale incapacità dei soggetti di gestire il cambiamento, e il loro conseguente graduale adattarsi ad esso. La lotta appassionante degli “eroi” per la “sopravvivenza”. Vederli vacillare e rialzarsi. One step forward and two backwards, diceva David Shore a proposito di House.

Se i personaggi (gente di campagna col dono della bellezza) presentano psicologie bozzettate, esplicitate con giri di frase, piuttosto che tratteggiate, la forza comunicativa dell’immagine appare, in più di una circostanza, dimentica. Ad esempio, nel libro a indicare il tracciato perimetrale della cupola, sono stormi di uccelli. Morti. Precipitati al loro schiantarsi contro la barriera. Centinai di corvi lungo una curva di morte. Nella serie, il terreno è segato e arrossato al suolo in corrispondenza del taglio. Nulla di più. Cade un uccello. Il resto è perduto.

Cifre d’uno stile che rispetto a una trama di rapporti causa-effetto, preferisce l’arte del dettaglio, dissimulato ma ben disseminato; e pronto ad essere raccolto, senza imboccate.

Prossimo episodio: Domenica, 21:40. E speriamo in un’impennata.

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