La Turchia di Erdogan: un precario equilibrio interno ed esterno

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di Giuliano Bifolchi

La recente visita del ministro degli esteri della Turchia Ahmet Davutoglu in Azerbaijan dimostra sia i buoni rapporti che intercorrono tra Baku, ed Ankara sia la volontà dello stato turco di giocare un ruolo di primo piano a livello regionale all’interno dell’area del Caucaso ritenuta importante per motivi strategici, è di fatti il ponte che collega l’Europa all’Asia, e per motivi economici grazie alle ingenti risorse naturali ed energetiche (petrolio e gas).

Lo sviluppo nel settore industriale e dei servizi hanno permesso alla Turchia di indirizzare la propria economia verso il libero mercato e di assumere un ruolo di primo piano nelle questioni politiche ed economiche regionali, tra cui spiccano ovviamente quella inerente al trasporto del gas naturale dell’Azerbaijan verso il mercato europeo, il quale dovrebbe facilitare e consolidare la politica di sicurezza energetica di Bruxelles, e quelle inerenti i conflitti regionali che riguardano l’area meridionale in cui la contesa armeno-azerbaigiana riguardante il Nagorno-Karabakh è stata capace di attirare l’attenzione fin dal 1992, anno dell’inizio del conflitto armato conclusosi nel 1994 con il cessate il fuoco a cui è seguita la creazione del Gruppo di Minks dell’OCSE per facilitare il processo di pace, e l’area settentrionale sconvolta dal problema della militanza armata e del fondamentalismo islamico.

Le recenti vicende che hanno riguardato lo stato turco in cui l’attenzione è stata posta sulle proteste di Gezi Park e di piazza Taksim (Scontri di Istanbul: quello che i mezzi di informazione non dicono….lo dice Twitter), anticipate dal malcontento dei giovani espresso durante la festa dei 90 anni della repubblica (Turchia: i 90 della Repubblica visti da Istanbul), hanno portato i media e gli esperti ad esprimere pareri negativi e dubbi inerenti il ruolo di potenza regionale che Ankara ha cercato negli ultimi tempi di avere ed esercitare ponendo i propri interessi sia nella regione caucasica sia nell’area mediorientale e quindi gettano delle ombre sulle parole dello stesso Davutoglu espresse durante la visita in Azerbaijan che candiderebbero la Turchia come potenza mediatrice all’interno del conflitto del Nagorno-Karabakh.

Analizzando l’attuale situazione turca, stato che nel 2012 ha registrato un PIL pari a 794.5 miliardi di dollari con una crescita pari al 2.6%, dato notevolmente negativo rispetto all’8.5% del 2011 e al 9.2% del 2010, e con una disoccupazione pari al 9.2% in calo rispetto al 9.8% del 2011, lo stato anatolico sta affrontando uno dei periodi più difficili degli ultimi tempi e vede in aumento le persone che si oppongono al governo di Erdogan e del partito Giustizia e Sviluppo (AKP) tramite dimostrazioni di piazza che manifestano contro l’assenza di una reale alternativa politica e contro un sistema politico che non li rappresenta.
Occorre dire che i dieci anni di governo di Erdogan hanno permesso alla Turchia di avviare un processo di trasformazione passando da una media potenza regionale ad un attore di primo piano a livello internazionale, anche se le numerose riforme avviate da Ankara necessitano di un ulteriore passo in avanti in direzione della libertà di pensiero nella dialettica di politica interna, non solo su questioni prettamente teoretiche come l’identità musulmana e principi fondanti della repubblica turca, ma anche e soprattutto nella libertà del personale cittadino.

Rimane quindi da chiedersi se veramente lo stato turco può giocare il ruolo guida che si è prefissato  nella questione caucasica; il Nagorno-Karabakh, area originalmente appartenente all’Azerbaijan occupata dalle truppe armene insieme ad altri sette distretti limitrofi, è stato la causa dell’interruzione dei rapporti tra la Turchia e l’Armenia, i quali avevano registrato una ripresa a partire dal 2009 grazie alla mediazione della Svizzera e alla volontà di Yerevan di liberarsi dell’embargo commerciale imposto da Baku ed Ankara che l’avevano gettata tra “le braccia russe”. Adesso le due parti sono tornate a cavalcare le vecchie diatribe inerenti sia i diretti rapporti turco-armeni, con lo stato caucasico che accusa quello turco di essersi impossessato dei suoi territori alla fine della prima guerra mondiale richiedendone la restituzione, e con Ankara che, come confermato dalle stesse parole di Davutoglu, si è schierata nuovamente al fianco dell’Azerbaijan nella contesa del Nagorno-Karabakh minando quindi il ruolo di potenza mediatrice che si era preposto. Schieramento in direzione Baku dovuto non solo per la storica “amicizia” esistenti tra due popoli che condividono lo stesso ceppo linguistico e origini ma soprattutto per il ruolo sempre più importante che lo stato azerbaigiano sta assumendo nel mercato energetico mondiale grazie alle sue ingenti risorse energetiche (petrolio e gas naturale) da cui dipende la sussistenza stessa turca, privata dopo le sanzioni dell’Unione Europea e degli Stati Uniti verso l’Iran di buona parte dei rifornimenti energetici di Teheran, e la possibilità del mercato europeo di liberarsi del monopolio russo per quello che riguarda i prezzi del gas naturale.

Relazioni confermate non solo dalla recente visita del ministro degli esteri turco a Baku il quale ha incontrato il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev ed il ministro degli esteri Elmar Mammadyarov incentrando il dialogo su questioni inerenti la cooperazione energetica e la sicurezza regionale ed esprimendo la convinzione che il problema del Caucaso meridionale e la sua stabilità dipendono dalla liberazione del Nagorno-Karabakh da parte dell’Armenia, ma anche dalle esercitazioni militari che dal 12 al 28 luglio gli eserciti delle due nazioni hanno in programma per testare la propria operatività nella regione e nell’area del Mar Caspio. Amicizie e unioni che ovviamente non inducono Yerevan alla fiducia e che minano la figura della Turchia nel Caucaso e rischiano di far naufragare i progetti e le mire di potenza di Ankara proclamati dallo stesso Erdogan agli inizi del nuovo millennio.

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