Diaz 12 anni dopo. Le vittime rientrano a scuola
di Emiliana De Santis
Lo scorso 23 luglio le porte della Armando Diaz si sono aperte di nuovo. Mark Covell, Lorenzo Guadagnucci, la famiglia Bartesaghi sono entrati a commemorare i luoghi dell’onta. La sera del 21 luglio 2001 i reparti mobili della Polizia di Stato facevano irruzione negli istituti Diaz, Pascoli e Pertini centro del movimento Genoa Social Forum, riunitosi per protestare contro lo svolgimento del G8 di Genova. Sentenze, lacrime, ombre e rimpianti di un evento che è stato e resta ferita aperta nella storia della nostra democrazia.
Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa Social forum ed ex parlamentare europeo, esordisce: “A 12 anni da quei fatti oggi le vittime della Diaz hanno potuto rientrare in quella scuola, rivedere i luoghi dove si è consumata una delle peggiori pagine della nostra storia, cercare finalmente di rielaborare insieme quella tremenda esperienza [..]” Ci avevano già provato, loro, a presentare istanza di visita alla scuola ma senza successo “per mancanza di adeguato personale” si era detto. Oggi invece, il nuovo preside Aldo Martinis, prova a gettare un’ancora nel grande mare delle parole non dette, delle verità nascoste e delle prove scomparse: “Abbiamo fatto una cosa normalissima – dichiara alle telecamere – oggi la democrazia rientra in questi luoghi”.
Si, perché in quei luoghi, se n’è vista poca. Camminano lentamente, si guardano intorno bloccati dalla paura, restano immobili sulla soglia e le immagini piovono a cascata. “Entrarono e iniziarono a colpire con i manganelli. Se non avessi alzato le braccia mi avrebbero rotto la testa come a tanti altri. Ricordo ancora con terrore le due trascorse in attesa di essere portati via. Pensavamo potesse ancora succederci di tutto [..]” così Guadagnucci, giornalista del Resto del Carlino, che da poco si era addormentato quella sera d’estate. Era mezzanotte quando il Reparto mobile di Roma, seguito da quello di Genova e Milano, fecero irruzione tra i manifestanti in cerca di due bombe molotov che si scoprirà più tardi – e solo grazie alla successiva confessione del vicequestore aggiunto Pasquale Guaglione – essere state appositamente posizionate e giustificazione dell’ingiustificabile. Sulla strada incontravano Covell, 25enne giornalista inglese, che ha rischiato la morte a causa del pestaggio e che oggi è affetto da stress post – traumatico. Pensava di documentare una manifestazione ed invece si ritrova come un soldato appena tornato dall’Afghanistan, impaurito, attonito. Enrica Bartesaghi procede a tentoni, cercando di immaginare cosa possa aver provato sua figlia Sara, chiusasi nei bagni pensando di sfuggire al blitz, assente perché ha scelto di vivere in Francia dove il dolore è più distante e meno acuto. “Nostra figlia non se l’è sentita di venire. È passato molto tempo ma provo ancora rabbia. Mi torna in mente la prima udienza del processo: i superfunzionari (poi condannati) scortati, noi sorvegliati come fossimo i colpevoli”.
Grande assente lo Stato, in ogni sua figura ed articolazione, lo stesso che a lungo ha cercato di confinare la vicenda in uno dei più remoti angoli della memoria storica di un’Italia affetta da autolesionismo. E per un Antonio Manganelli, capo della Polizia, che ha chiesto umilmente scusa con un gesto proprio delle migliori anime, quelle che se ne vanno troppo presto in questo mondo di arroganza e potere, c’è un orgoglioso Gianni De Gennaro, al tempo vertice delle Forze dell’Ordine, ora presidente di Finmeccanica grazie a un accordo bipartisan che ha suscitato non pochi mal di pancia.
Agnoletto propone di rendere la Diaz monumento nazionale e invoca le scuse del Presidente Napolitano. Anche questa un’esagerazione come tutte le altre, gonfiate da un odio mirabilmente confezionato e strumentalizzato proprio come le due molotov che nessuno ha mai più ritrovato.