Writer condannati per associazione a delinquere. Intervista al writer Gojo
di Pierfrancesco Demilito
La scorsa settimana ha fatto molto discutere la condanna di due writer milanesi. I due, noti con gli pseudonimi Zed e Arvey, sono stati condannati a 6 mesi e 20 giorni di reclusione, più 400 ore ai servizi sociali. Il particolare, a tratti storico, della vicenda è che i due giovani sono stati condannati per associazione a delinquere, perché appartenenti ad una crew, ovvero a un gruppo di writer.
Di questa sentenza e di altro abbiamo parlato con Paolo Colasanti, writer romano conosciuto con lo pseudonimo di Gojo, che da anni è impegnato in progetti con l’amministrazione comunale finalizzati ad individuare nella Capitale “muri legali” da destinare ai writer.
Paolo, i due writer sono stati condannati per associazione a delinquere perché appartenenti ad una crew. Davvero si può considerare una crew un’associazione finalizzata all’imbrattamento? Non sono un avvocato, per cui non so risponderti per certo. L’argomento fu sollevato già diversi anni fa, non mi ricordo in che occasione, e ragionandoci un po’ su pensai che in fin dei conti sì, quando si va insieme a dipingere illegalmente si potrebbe essere considerati un’associazione a delinquere. D’altro canto, si è associati e si sta delinquendo.
Nei servizi dei tg che hanno riportato la notizia vengono mostrate indiscriminatamente scritte politiche, i “ti amo” dei ragazzini, i tag e i murales, come se tutto rientrasse nello stesso calderone. Credi che alla base della diffusa ostilità nostrana nei confronti dei writer ci sia anche questa caotica rappresentazione della vostra realtà? Sì, questo è un errore che si fa sempre e ad un certo punto presumo ci sia la volontà di perpetuarlo. Alla base dell’ostilità c’è sicuramente un non comprendere, oltre che un naturale incazzarsi quando viene dipinta una proprietà. Anche i writer si incazzano quando qualcuno dipinge su un loro graffito.
Tante Capitali europee stanno aumentando gli spazi dedicati ai writers, in alcuni casi addirittura trasformandoli in un opportunità per attirare turisti. A che punto siamo a Roma? La vita del writer capitolino è ancora molto dura? A Roma c’è un progetto che continua a riavviarsi ad ogni nuova amministrazione. Siamo partiti con la mia associazione Walls nel 2007, riuscendo ad ottenere oltre 10 km di superfici libere da dipingere. Il problema è che la questione è stata, fino ad ora, molto ma molto poco seguita. Le nuove premesse però ci danno abbastanza tranquillità. A breve partiremo con i nuovi muri legali, cercando di aumentarne largamente il numero e di riunirli a vari altri progetti in cui saranno coinvolti anche artisti e popolazione locale di molti quartieri.
Quindi, più muri legali e meno ragazzi che finiscono in guai giudiziari per aver dipinto di notte un treno della metropolitana? Certamente non posso dire che nel caso in cui alcuni writers vengano presi a dipingere un treno non debbano essere condannati, sono le regole del gioco! Però porca miseria, si sta sempre a parlare di quanti soldi si spendono per ripulire le metro dai graffiti ma non si parla mai della spesa, ben più alta, che si affronta per la sicurezza dei depositi. Sicurezza che poi, in realtà, non esiste, perché se un ragazzo di 15 anni può stare trenta minuti a dipingere su un treno della metropolitana, che sicurezza c’è? Ci si indigna per i disegni ma si dovrebbe dire grazie a chi, dipingendo sulla metro, ci dimostra che la sicurezza è totalmente inefficiente. Invece, si vuole nascondere l’unico evidenziatore di un problema reale. Io faccio graffiti e la mattina quando prendo la metro ho paura, perché non posso fare a meno di pensare che chiunque avrebbe potuto manometterla.