Greenpeace invade la Champions League: forti proteste contro gli arresti nel Mar Artico
di Cristiano Checchi
Martedì primo ottobre, allo Stadio Sankt Jakob-Park di Basilea per la seconda giornata di Champions League un fuori programma ha fatto da contorno all’1 a 0 con il quale lo Schalke 04 si è imposto sul Basilea.
Nessuna storia di sport o di gol da Champions League, a prendersi tutta la scena è la questione ambientale e la protesta messa in atto da Greenpeace. I fatti sono semplici: dopo pochi minuti dall’inizio dell’incontro, quattro attivisti si sono calati da un lato della copertura dello stadio srotolando uno striscione con scritto “Gazprom don’t foul the arctic”.
La Gazprom è una delle maggiori compagnie russe e il più grande estrattore di gas naturale del mondo. La Gazprom non vive inoltre totalmente fuori dal contesto del calcio internazionale, teatro nel quale è andata in scena l’ultima grande protesta. L’azienda russa è infatti proprietaria dello Zenit di San Pietroburgo, è uno degli sponsor del Chelsea e della Champions League, e per chiudere proprio dello Schalke 04, squadra impegnata nella sfida in questione.
L’organizzazione di attivisti non si è impegnata nella sola interruzione della Champions, per le proprie rimostranze ha usato ultimamente anche altri scenari sportivi. Uno striscione di 20 metri aveva già invaso ad agosto il gran premio di Spa in Belgio: “Arctic oil? Shell no!”, il messaggio lanciato dagli attivisti. Le immagini però furono quasi tutte censurate.
Cosa c’è dietro l’azione e il lavoro di questi mesi di Greenpace? La battaglia è contro le continue trivellazioni russe che stanno martoriando il Mar Artico. Le azioni di Greenpeace sono da sempre insistenti e l’attivismo, basato su azioni pacifiche, sono all’ordine del giorno per l’organizzazione. Come, ad esempio, quella del 18 settembre scorso, quando due attivisti hanno scalato la piattaforma Prirazlomnoye di Gazprom, per protestare appunto contro le continue attività russe in quella zona. Greenpeace ha anche diffuso un video in cui si lamenta dello sproporzionato uso della violenza (11 colpi di avvertimento sparati dalla Guardia Costiera).
Il tutto si è concluso con l’arresto dei due attivisti, e con gli arresti di altri ventotto membri di Greenpace, effettuati nel blitz sulla Arctic Sunrise (il rompighiaccio usato dagli attivisti). I trenta arrestati sono stati accusati di pirateria, e rischiano fino a un massimo di 15 anni di prigione. La reazione russa alle attività di Greenpeace sembra spropositata, anche se lo stesso Putin ha ammesso di essere consapevole che non si tratta di pirateria. Parole più dure sono invece arrivate dal Premier Medvedev che si dice non intenzionato a giustificare azioni illegali sotto la bandiera dell’ambientalismo. Ma dichiarazioni di facciata a parte sembra difficile immaginare una condanna per pirateria, quanto molto più verosimilmente la Russia sta cercando, con il pugno duro, di intimidire eventuali future azioni contro le proprie operazioni petrolifere.
Intanto a prescindere dalle dichiarazioni, più o meno di facciata, dell’amministrazione russa, per il mondo si è alzata la protesta per le azioni sia contro l’ambiente che per il trattamento riservato agli attivisti arrestati (lo striscione esposto nella partita di Champions è solo una dei tanti casi). Eventi di sensibilizzazione sono scattati in 47 paesi, dalla Nuova Zelanda alla Cina, passando per l’Italia, la Spagna o il Sudafrica, senza tralasciare la stessa Russia. L’Italia è inoltre attiva per Cristian D’Alessandro il 29enne nel gruppo degli arrestati. Sulla sua situazione si espressa il Ministro degli Esteri, Emma Bonino: “l’inchiesta chiarisca i fatti e consenta la rapida conclusione della vicenda, che tenga conto della natura pacifica della protesta”. La base pacifista di Greenpeace è ricordata un po’ da tutti, e la stessa Russia ne è consapevole a prescindere dall’importanza degli interessi in gioco nel Mar Artico.