Tennis. Ferrer non riesce nell’impresa: a Parigi Bercy vince Djokovic. Per lo spagnolo tanti rimpianti

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L’apertura per una volta è per quello che perde. Per la finale dell’ultimo master 1000 dell’anno, quello di Parigi Bercy, si può dare la copertina al campione in carica che non è riuscito a difendere il suo titolo contro Novak Djokovic. David Ferrer passerà probabilmente alla storia come uno dei tennisti più sfortunati, le sue capacità tecniche ma soprattutto fisiche gli avrebbero permesso di vincere decisamente di più di quanto fatto (20 titoli di cui un solo master 1000). Trovarsi nell’era che è stata di Federer, poi di Nadal, poi di nuovo di Federer, poi di Djokovic e poi ancora di Nadal non ha permesso al motorino spagnolo, che ha fatto dell’etica del lavoro e dell’abnegazione il suo credo, di vincere qualcosa di tremendamente importante.

Ferrer ieri ha perso, come spesso succede quando incontra uno di quelli che ha segnato quest’era tennistica. È il destino di chi forte magari non ci è nato ma lo è diventato, ma non abbastanza per riuscire a primeggiare su quelli nati con qualche accezione particolare, che li ha resi fatti apposta per primeggiare in questo sport. Che sia il talento sovrannaturale di Federer, la tenuta mentale e fisica di Nadal o il cuore e il rovescio di Djokovic. Ferrer si è costruito, corsa dopo corsa, recupero dopo recupero, ha affilato quel bel dritto anomalo e ha vinto qua e là dove ha potuto, in un mondo che lo ricorderà per sempre come il numero 5 nell’era dei fab four.

Nella finale di Parigi è venuto fuori tutto questo: l’impossibilità di vincere contro chi troppo più forte, o almeno di non riuscirci per due giorni consecutivi. Troppo lo sforzo fisico e mentale per battere uno in fila all’altro Nadal (come successo in semifinale) e Djokovic, nonostante i break i di vantaggio e nonostante l’aver servito per il set. Il serbo non è quello straripante del 2011 (non lo è stato più), non è neanche quello capace di restare mesi e mesi uno del mondo (scansato da poco da Nadal), è quello più abbordabile, in preparazione per il Master di Londra che non trova sempre il campo e che sbaglia di più (con Federer in semifinale è stato anche vicino dall’uscire dal match, aiutato dal calo fisico dello svizzero arrivato proprio sul più bello). È un Djoko che ogni tanto concede quindi, ma è un Ferrer che mentalmente molla proprio quando il campione deve stritolare nella propria morsa l’avversario, ovvero quando si trova 5-4 e servizio. Lo stesso errore il maratoneta Ferrer l’aveva fatto anche con Nadal, ma poi la grinta la voglia di tenersi il proprio torneo lo ha fatto andare oltre l’ostacolo, questa volta no: break, 5-5, 6-5. Djokovic poi è ancora letale, piazza un altro break a sancire il primo set. Il problema poi non si è fermato lì, per non farsi mancare nessuna recriminazione, il copione del secondo set è stato identico. Avanti di un break, arrivati sul 5-4 Ferrer spegne la luce e Djokovic, che al contrario nei momenti che contano torna quello versione 2011, non ci mette niente a ripetere il giochetto messo in atto nel primo set. Gioco, partita e incontro. Tanto rammarico e quella solita consapevolezza di non poter superare quell’asticella, che altro non è che l’umanità fisica e mentale, che Djokovic o Nadal in certe occasioni mettono troppo in alto. Per il serbo c’è poi anche qualche numero da sciolinare, visto che la grandezza va sempre e a merito celebrata: titolo in carriera numero 40, 16esimo master 1000, sesto titolo dell’anno e secondo in carriera e Bercy.

Chiuse le porte di Parigi Bercy l’appuntamento per gli otto, umani e non, migliori del mondo è per Londra al via oggi, con la consueta formula dei 2 gironi. Da una parte ci saranno Nadal, Ferrer, Berdych e Wawrinka; dall’altra Djokovic (campione in carica), Federer, Del Potro e Gasquet. Che lo spettacolo, per l’ultima volta in questo 2013, abbia inizio.

Cristiano Checchi 

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