E-government: Italia in ritardo. Lo confermano i dati OCSE
di Tiziano Aceti
Il ritardo italiano sull’Agenda digitale è enorme. Un dato questo sicuramente noto, soprattutto a chi si interessa del tema. L’avvio di una piena attuazione dell’Agenda digitale prosegue a rilento (molto a rilento): sul piano normativo soltanto otto (su ventuno) decreti attuativi sono stati approvati, per non parlare dei problemi che riguardano lo statuto dell’Agenzia per l’Italia digitale, il quale, permetterebbe alla stessa di operare a pieno regime.
A confermare i problemi riguardanti l’Agenda digitale nel nostro Paese, sono i dati emersi dal rapporto dell’OCSE, che ha messo in evidenza la relazione tra cittadini, imprese e pubblica amministrazione. Dati che non fanno altro che ribadire il ritardo dell’Italia in materia digitale.
Osservando i dati vediamo come solo il 19% dei cittadini italiani interagisce con la pubblica amministrazione attraverso Internet e usufruisce dei servizi amministrativi sul web, a fronte di una media Ocse del 50%, solo il Cile fa peggio (7%). I grandi Paesi europei si attestano tutti al di sopra del 40%: Francia (61%) , Gran Bretagna (45%), Spagna (45%) e Germania (51%). Stesso andamento per quel che riguarda le imprese, anche se con numeri decisamente diversi, il 76% delle imprese italiane fa uso dei servizi di e-government (penultima posizione dei paesi Osce davanti la Svizzera) con una media invece che si attesta all’88%.
Questi sintetici dati avvalorano un andamento generale sull’Agenda digitale che dovrebbe non essere una sorpresa; si pensi ad esempio al gap sulla banda ultralarga oppure alla questione dei cosiddetti “analfabeti digitali” (su questo punto è stato lanciato il progetto Go On Italia, ideato da Wikitalia).
Ed è proprio sulle competenze digitali che forse si gioca la partita più dura. L’acquisizione di competenze che permettano ai cittadini (ma ovviamente anche alle imprese) tra le altre cose di poter interagire in modalità on line con la pubblica amministrazione, dovrebbe essere considerata come una questione centrale. Un cambiamento culturale perché, sì, importanti sono le infrastrutture ma necessarie sono l’acquisizione, lo sviluppo delle competenze, altrimenti il percorso verso una progressiva riduzione del gap e il raggiungimento degli obiettivi risulterà molto più difficile.