Her. L’amore ai tempi della tecnologia
di Annalisa Gambino
Presentato tra i film in concorso a Roma, Her di Spike Jonze non delude le aspettative. C’è chi fino a domenica ha parlato di Jonze come papabile vincitore del festival ma la giuria si è espressa a favore dell’italiano Alberto Faulo che con Tir si è aggiudicato il Marc’Aurelio d’oro. Spike Jonze, dopo Essere John Malkovich, Il Ladro di Orchidee, Nel Paese delle Creature Selvagge, incanta stampa e critica per aver portato sullo schermo un universo possibile e al tempo stesso così sorprendente, immaginifico e pieno di stupefacenti dettagli.
Il cineasta immagina un futuro non troppo lontano nel quale prende vita una travolgente storia d’amore tra Theodore – Joaquin Phoenix e Samantha, il suo nuovo sistema operativo capace di interagire con lui. Jonze non poteva fare scelta migliore nel dotare il suo OS della voce di Scarlett Johansson, l’unica in grado di evocare una forte fisicità senza mai paradossalmente rivelare il proprio corpo. Il regista, come ha affermato nella conferenza, ha impiegato anni ad ultimare la difficile sceneggiatura di Her che riesce a coniugare i replicanti di Blade Runner con i personaggi nevrotici stile Woody Allen.
La storia è di per sé semplice,ma a renderla straordinaria è la visionarietà nell’aver reso credibile l’amore di un uomo che, di fatto, si interfaccia con la pura virtualità. Il fulcro narrativo della storia è descritto con tenerezza e disincanto grazie anche alla sublime interpretazione di Phoenix che dona al suo personaggio una scalatura di espressioni opposte, passando dalla frizzante leggerezza, alla tristezza più profonda con estrema naturalezza. Her è sì la storia di un amore illogico e non convenzionale, ma allo stesso tempo tratta di uno spaventoso presagio provocato dall’incalzante sviluppo tecnologico. La tematica portante del film è, infatti, il rapporto tra l’uomo e la macchina. Her smaschera la dipendenza e, soprattutto, l’alienazione dell’umanità nell’era tecnologica. Il protagonista è un uomo solo, incapace a vivere la sua vita senza la moglie dalla quale ha divorziato e per questo si rifugia in un rapporto che non può esistere. È un modo per evadere da una realtà deludente e triste. Quella di Spike Jonze è una critica alla perdita della socialità e una riflessione circa la tendenza latente a perdersi nei meandri del virtuale a discapito delle relazioni reali troppo problematiche.
Data la complessità di spunti e riferimenti, è impossibile dare al film un’unica chiave di lettura. Her è un viaggio universale, nell’amore e nella sua trasformazione. Un percorso struggente dell’animo umano ambientato in una Los Angeles futurista che ingloba lo spettatore nelle sue tenui tinte pastello, sintomo di un gusto retrò della cultura pop degli anni ottanta. Il contrasto nell’utilizzo di costumi e arredi vintage per un’era futura ha il potere di creare un mondo accogliente e gradevole in vista di una condivisione emotiva ancora più totale.
La caratteristica più affascinante del film è che non c’è una presa di posizione tra il charme della virtualità e il grido d’allarme di tutto ciò. Il messaggio finale che emerge, nonostante la profonda solitudine del personaggio principale e di tutti coloro che gravitano intorno, è di speranza. Alla fine del film Theodore sembra essere diventato un uomo migliore rispetto all’inizio. Ha compiuto un percorso di maturazione e, in un certo senso è guarito. È una riflessione sulla difficile e arbitraria ricerca della felicità. Una felicità e accettazione dell’altro che si innalza a un livello superiore che dialoga con lo spirito, con l’inconsistenza e con l’intelletto.