(S)oggetto donna. Le responsabilità dei media, e le nostre
di Mariacristina Giovannini
Gli uomini si chiedono se sei graziosa. Certamente non si chiedono se sei intelligente.
È il claim di una pubblicità concepita da qualche brillante creativo quasi cento anni fa. Preistoria, ci diciamo. Chi trasmetterebbe oggi uno spot del genere. Nessuno. Ma ne siamo proprio sicuri?
A distanza di un secolo, siamo ancora qui a discutere degli stessi temi, a contrastare le strategie di marketing centrate sullo stereotipo della donna oggetto. Già con la risoluzione del 1997, il Parlamento Europeo contesta la rappresentazione degradante della donna nei mezzi di comunicazione e chiede agli Stati membri di adottare codici di condotta per contribuire al cambiamento della mentalità e promuovere una reale parità di genere.
Dieci anni più tardi, si torna a discutere dell’impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini, e si rileva che la pubblicità influenza pesantemente il comportamento dei cittadini e la formazione delle loro opinioni.
Oggi, ci si interroga sul nesso – sempre più inconfutabile – tra l’esposizione a immagini femminili oggettivate e violenza sulle donne. E di questo tratta anche lo studio pubblicato in questi giorni da Silvia Galdi, Anne Maass e Mara Candiu del dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova.
I messaggi veicolati dai mezzi di comunicazione di massa hanno effetto sul nostro comportamento? C’è un rapporto diretto tra la diffusione di modelli femminili oggettivati e l’incremento di episodi di molestia sessuale e di violenza contro le donne?
La ricerca Objectifying Media: their effect on gender role norms and sexual harassment of women parte da queste domande e risponde in modo inequivocabile: “l’esposizione a materiale televisivo che veicola un modello svilente e denigrante del ruolo femminile aumenta il comportamento di molestia. Questa relazione è da attribuirsi al fatto che la visione di tale materiale favorisce una maggiore adesione alle norme ‘tradizionali’ riguardanti il ruolo maschile”.
Ulteriore conferma di qualcosa che sperimentiamo quotidianamente sulla nostra pelle, lo studio prova quindi che la visione di programmi con donne oggetto genera comportamenti sessisti e violenti.
Una ragione in più per non abbassare la guardia: denunciamo all’Istituto di autodisciplina pubblicitaria gli spot sessisti, boicottiamo le trasmissioni che riflettono un’immagine stereotipa della donna, aiutiamo bambini e bambine a capire che esistono molti modelli diversi, tutti possibili e degni di rispetto. Apriamo gli occhi. Scegliamo. Orientiamo il cambiamento. Miglioriamo. Facciamo in modo di non trovarci tra cinquant’anni ancora qui, a discutere dell’ovvio.