La lunga strada verso le elezioni: proposte sul lavoro tra PD e Nuovo Centrodestra
di Francesco Galati
Con i molteplici vacillamenti del Governo Letta e l’inevitabile avvicinarsi delle elezioni tutti i giocatori della partita cominciano a scoprire le loro carte, ovviamente cercando di focalizzarsi sui punti nevralgici, ossia riforma del sistema elettorale, che tutti (o quasi) vorrebbero votare con Letta al governo e poi soprattutto quella delicatissima del sistema del lavoro. Nella settimana passata abbiamo potuto prendere conoscenza, almeno parzialmente, del renziano Jobs act e del piano lavoro di Alfano, entrambe apparentemente valide proposte per quanto ancora incomplete.
Il Jobs act prevede una serie di agevolazioni per le aziende non solo dal punto di vista fiscale ma anche dal punto di vista dei costi delle materie prime (sconto energia del 10%), riduzione del fisco sul lavoro, tagli nei contratti troppo onerosi a livello statale, obbligo di trasparenza da parte delle amministrazioni e tutta una serie di manovre improntate nell’ottica dell’implementazione del Welfare, quali la centralizzazione dei centri d’inserimento, l’assegno universale per chi perde il lavoro, garantito fino ad un massimo di un lavoro rifiutato, e con la condizione di seguire dei corsi di aggiornamento o formazione professionale.
Le manovre proposte da Renzi ricordano dunque molto da vicino lo schema keynesiano, prendendo largamente spunto dagli evoluti (ma non necessariamente migliori in toto) sistemi di assistenza dell’Europa del nord, certamente modelli che riservano grande attenzione al sociale ma che non necessariamente rappresentano l’unica soluzione valida o comunque quella più applicabile. Infatti, rapportando il tessuto sociale e la condizione socio economica italiana a quella di tali paesi, non ne esce un quadro particolarmente rassicurante anche se, sicuramente con delle modifiche esiste un certo spazio di manovra.
Alfano ha invece esordito nella presentazione del “piano lavoro” con un aspra critica al jobs act, accusando il piano di essere troppo legato ad una visione troppo novecentesca. Una critica che poiché mossa da un partito “di destra” ha una serie di giustificazioni che nascono dalla visione più liberal e meno “stato-socialista” di quanto può essere quella del leader PD. Le proposte di Alfano ricalcano in parte le “promesse berlusconiane” degli ultimi anni, quindi importanti tagli sul costo del lavoro, con conseguente reinvestimento per ridurre la pressione fiscale sulle famiglie; incentivi per le aziende che assumeranno, soprattutto giovani, sussidi ai disoccupati anche mediante attività di formazione, nonché una profonda rivisitazione dei contratti di apprendistato e del sempre discusso articolo 18.
Non resta altro se non analizzare a fondo le proposte che verranno avanzate nel corso di questi mesi, un po’ di fiducia nei confronti di queste manovre c’è, anche perché sembrerebbe che gli italiani siano stufi di bei programmi che non portano da nessuna parte ed il 25% di preferenze al M5S alle passate elezioni ne è una prova lampante. Purtroppo però il Movimento non è riuscito ad incidere profondamente nelle meccaniche del “palazzo”, anche se è impossibile non riconoscergli il merito di aver scosso un po’ l’ambiente con persone spesso molto preparate e dedite al lavoro, sicuramente più di molti altri politici, ormai parte integrante del “titano burocratico”.