A furia di cambiare verso, Renzi cambia anche idea
di Pierfrancesco Demilito
Panta rei, tutto scorre. E tutto cambia. Lo sa bene Matteo Renzi, che del cambiamento ha fatto una bandiera. Cambiare verso, rottamare, mandiamoli tutti a casa (ah no, questo è quell’altro…vabbé, ma alla fine il concetto è quello). E a furia di cambiare tutto, il sindaco di Firenze è finito per cambiare idea su un bel po’ di cose.
Ha iniziato incontrando Berlusconi, quello del “game over”, perché dice il nuovo Matteo che se si vuol cambiare davvero la legge elettorale bisogna parlare con il Cavaliere, perché è lui che decide, mica Dudù. Dunque dimenticatevi il “game over”, si faceva per ridere, a Firenze la chiamerebbero una “bischerata”.
Sulla legge elettorale Renzi è sempre stato chiarissimo: “Non sono innamorato di una legge elettorale piuttosto che di un’altra, sono innamorato di alcuni concetti: il primo è che bisogna scegliere il proprio candidato leader, ma anche il proprio parlamentare”. E ancora : “c’è una legge elettorale che funziona, quella dei sindaci: il giorno dopo le elezioni si sa chi ha vinto e chi no”.
E anche ai più distratti non sarà sfuggito che nelle votazioni comunali la preferenza c’è, eccome.
Ma a quanto pare il sorriso di Renzi non ha ammaliato Berlusconi e l’accordo sulle preferenze non si è trovato. Nessun problema, il nuovo Matteo cambia linea all’istante, e con lui all’unisono tutti i suoi, e inizia a spiegare al Paese che in certe zone le preferenze favoriscono la criminalità organizzata e i baroni dei partiti.
La nuova linea viene spiegata alla direzione del Pd: è un accordo prendere o lasciare, non si può spostare una virgola senza rischiare di far crollare tutto. In assemblea 111 votano sì e 34 si astengono. E appena finita l’assemblea, ecco il nuovo Matteo, quello autoritario: “le preferenze sono fuori dall’accordo, l’assemblea ha votato, i dissidenti si adeguino, non c’è spazio per altre iniziative”.
Quanto è lontano quel giovane ribelle che solo nove mesi fa, da sindaco di Firenze, tuonava contro l’accordo trovato dall’allora segretario Pierluigi Bersani, con Berlusconi, sul nome di Franco Marini come Presidente della Repubblica. In quella circostanza non solo la prassi, ma anche la Costituzione, richiedevano una convergenza con le altre forze politiche presenti in Parlamento, anche allora il Movimento 5 Stelle fece muro e l’unico disposto a dialogare fu Berlusconi, anche in quel caso la decisione venne discussa e votata in un’assemblea ufficiale in cui la maggioranza si espresse a favore (222 si, 90 no e 30 astenuti). Ma all’epoca Renzi non si allineò alla maggioranza del Pd, prese un treno per Roma, incontrò i suoi fedelissimi da Eataly dell’amico Farinetti e decise che il giorno dopo la sua corrente avrebbe votato per Chiamparino, in chiaro dissenso con la linea del partito. A partire da quel giorno iniziò il declino della leadership del Pd e l’ascesa alla segreteria di Matteo Renzi.
Panta rei, tutto scorre, tutto cambia. Fino a ieri la linea dettata da Bersani non contava nulla, poco contava che Bersani fosse stato scelto come segretario da 1.600.000 elettori e come candidato leader del centrosinistra con 1.700.000 voti. Contestare oggi la linea del segretario è da irresponsabili, ieri non lo era.