Federculture: una nuova strategia per la rivoluzione culturale del paese

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di Elena Angiargiu

La cultura è crescita, progresso e qualità della vita. È anche e soprattutto un motore di sviluppo economico e, in tempo di crisi, un’industria e un patrimonio da valorizzare attraverso una rinnovata sinergia tra pubblico e privato. A dirlo è il Rapporto Annuale Federculture 2013 “Una strategia per la Cultura. Una strategia per il Paese”, presentato alla Camera dei deputati il 20 gennaio alla presenza della Presidente della Camera Laura Boldrini e del Presidente di Federculture Roberto Grossi. Al convegno di presentazione del IX rapporto dell’Associazione, sono intervenuti: Piero Fassino, sindaco di Torino e presidente dell’ANCI, Stefano Rodotà, professore e giurista; Gianluca Comin, Direttore Relazioni Esterne e Comunicazione di Enel; Claudia Ferrazzi, Segretario Generale Accademia di Francia.

Cultura come strategia – La presidente Boldrini, autrice della prefazione del Rapporto, dopo aver commemorato il maestro e senatore a vita Claudio Abbado, ha sottolineato la necessità di “una visione di prospettiva che prenda il posto delle logiche di emergenza e di corto respiro che hanno caratterizzato gli anni passati”, ricordando il notevole patrimonio culturale del nostro Paese: 3.609 musei, 5.000 siti culturali, 46.000 beni architettonici vincolati, oltre 12.000 biblioteche, 34.000 luoghi di spettacolo, 47 siti UNESCO. I dati di Federculture smentiscono la frase “con la cultura non si mangia”: l’industria culturale vale, infatti, 76 miliardi di euro e occupa circa 1.400.000 lavoratori, con 440.000 imprese riconducibili al comparto delle industrie culturali e ricreative. Guardando a paesi come Israele, mèta di un recente viaggio istituzionale della Boldrini, in testa alla classifica internazionale degli investimenti in ricerca e sviluppo (4,5% del Pil), l’invito a considerare la cultura “essenziale per la crescita di una società più libera, più giusta e più prospera”.

Proposte per una nuova “idea-Paese” Tra i dati illustrati dal presidente Grossi, colpiscono il calo dei consumi culturali, con un +3,7% di italiani che rinunciano alla cultura fuori casa, un -3% di lettori di libri e il progressivo calo degli investimenti pubblici: nel triennio 2014-2016 si prevede una riduzione del budget del MiBACT a 1,4 miliardi di euro. L’obiettivo è rilanciare gli investimenti pubblici a sostegno della competitività, supportare la progettualità delle amministrazioni locali e sollecitare l’intervento economico dei privati.

A fronte dei tagli previsti, il rischio è quello di un crollo dell’occupazione, denuncia Grossi, mentre la cultura andrebbe considerata come “bacino di occupazione qualificata e non delocalizzabile”. Servono agevolazioni fiscali come la detraibilità delle spese per cultura e formazione di giovani e famiglie; un piano di sostegno per le aziende culturali che hanno un ruolo di servizio pubblico attraverso interventi legislativi per restituire alle imprese della cultura autonomia gestionale; strumenti di assistenza per la progettazione culturale integrata, quali la realizzazione di un Fondo di Progettualità Culturale per rilanciare la qualità dei progetti nella cultura e favorire l’accesso ai finanziamenti europei.

Cultura come servizio pubblico – Presupposto della “rivoluzione culturale”, da tempo e da più parti auspicata, è considerare la “cultura come fattore costitutivo e non aggiuntivo di sviluppo, uscendo da un’idea contemplativa e un approccio puramente conservativo del nostro patrimonio culturale, ancora tipico delle istituzioni statali”, ha sottolineato Piero Fassino, testimoniando la positiva eccezione di Torino, eletta da Federculture “città più attrattiva d’Italia”.

In un’ottica di accesso alle opportunità, Stefano Rodotà ha evidenziato che “il deficit di cultura si traduce in un deficit di democrazia”, mentre Gianluca Comin, a proposito dei progetti di valorizzazione culturale, ha confermato l’esigenza di “nuove modalità di collaborazione, passando dalla logica di sponsorship a quella di partnership”. Presentando le peculiarità del sistema francese, Claudia Ferrazzi ha messo in risalto gli investimenti del Paese transalpino, diversamente dall’Italia, tanto nell’educazione artistica quanto sul versante occupazionale e del mecenatismo. Investire nella cultura è “una questione di scelte”, ha chiosato Grossi, ribadendo l’urgenza di “imprimere un cambiamento culturale” che porti a concepirla come “partecipazione e opportunità da garantire a tutti”.

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