Sanremo e quel troppo che storpia. Lettura semiseria sul “pugno” di telespettatori.
di Lucia Varasano
Il Festival di Sanremo è uno dei più bei siparietti di casa nostra, una di quelle manifestazioni canore che più ti fa sentire italiano, oppure no. Lo si può guardare con disprezzo e con sguardo critico, oppure ci s’incanta davanti al televisore senza chiedersi il perché. Se potessimo definire il 64° Festival della Canzone italiana diremmo che è oscillato tra la bellezza assoluta e il disastro inevitabile, per dirla alla “Crozza”.
Ne avremmo potuto fare a meno. Di cose superflue ne abbiamo viste davvero parecchie e il ritmo del Festival è defluito a passi di lento. Ci chiediamo quanto sia davvero utile tutto quello che c’è attorno. Sono utili i monologhi di Crozza o dell’attore di turno, i dialoghi sulla bellezza e l’Italia allo sfascio, le lunghe ed estenuanti attese prima delle esibizioni dei cantanti in gara, la miriade di ospiti? Risultano belle da vedere le gemelle Alice ed Ellen Kessler ma anche la “Raffa nazionale” che muove l’animale evergreen dentro noi ma tutto il resto, e cioè i concorrenti in gara, è relegato a puro contorno. Basti pensare all’esibizione delle nuove quattro proposte che è arrivata solo nella tarda serata così come la loro premiazione, sempre sul finir della giornata.
Lo share. Va bene l’esigenza di mescolare il vecchio e il nuovo con l’obiettivo di pescare a piene mani da più generazioni ma il Festival nel suo complesso si è trovato con un pugno di telespettatori e il perché è forse da ricercare anche in questo. Come può d’altronde innovarsi un festival se continua a parlare dei soliti vecchi noti e quale diciottenne può apprezzare il “Dadaumpa”o lo scandalo Carrà? Inutile chiamare in causa i contestatori o la partita di Champions Milan-Atletico Madrid o l’offerta più appetitosa degli altri canali. Sanremo non riscuote più il successo di una volta e sarà stata anche colpa delle polemiche sugli ingaggi non proprio da quattro soldi e che hanno fatto storcere il naso a più di qualche italiano che ha volutamente boicottato la kermesse. Avrebbero potuto investire qualche euro in più almeno per le spillette del cavallino Rai, così invisibili che neanche se mi fossi appiccicata allo schermo TV sarei riuscita a distinguere di che animale si trattasse. Povero Renzo Arbore anni di lavoro per la RAI e in compenso si è ritrovato una pastiglia, ma di sicuro sapranno rendergli un pomposo omaggio post mortem.
La Littizzetto che non va’. L’anno scorso l’aspetto fuori luogo e i movimenti sgraziati della Littizzetto erano stati due dei motivi del rinnovato successo del Festival, quest’anno ha suscitato finanche antipatia con l’esordio in vestito di piume e pon pon, le solite boccacce alla telecamera, battute scontate da “macho” al bancone del bar con tanto di atteggiamento da ruminante permanente di caramelle.
Fastidioso e contraddittorio il moralismo della Lucianina che da testimonial della coop passa a dare lezioni di marketing chiamando in causa i grandi marchi. Sponsorizzando un prodotto da inserire sul mercato i pubblicitari- seguendo il suo ragionamento- sarebbero: sfruttatori qualora optassero per spot con donne seminude; santi qualora optassero per bambini down. Come spiegarle che nel caso della Nutella i bambini down andrebbero a pubblicizzare un prodotto che, tenendo conto delle raccomandazioni dell’Istituto Superiore di Sanità, non dovrebbe far parte della loro alimentazione per ragioni che hanno a che fare con il rischio obesità e il debole sistema immunitario. Bene sollevare questioni di così elevato spessore morale ma sbaglia esempio e lei stessa non lo da. Magari potrebbe pensare di ospitare nel prossimo Sanremo un coro di bambini down.
Arisa, torna sul palco! Nel momento esatto in cui la platea ha battuto le mani nel bel mezzo di “Controvento” ho capito che Arisa avrebbe vinto l’ambita palma. Lei non è apparsa una donna del sud ma un’algida lucana, un killer seriale che trascina i successi come cadaveri. Non si è minimamente scomposta lasciando il pubblico italiano senza una lacrima tanto che avrei voluto gridarle di tornare sul palco e fingere una disperata felicità “perché il pubblico italiano vuole piangere e se non piange ebbene Arisa ascoltami quella è una vittoria a metà!”. Ormai il palco è lontano e bando alle ciance potrebbe tenersi il mio consiglio per il suo arrivo in Basilicata. A Pignola, suo paese natio, i pasticceri sono in gara per preparare una torta che porti il suo nome, quindi mi raccomando Arisa almeno in quell’occasione strofinati qualche cipolla sul naso.
L’incomprensibile significato delle canzoni. Baudo ha dichiarato che non capisce bene il significato dei brani mentre una volta- forse quando conduceva lui- sì che le canzoni potevano definirsi tali. Forse Pippo per “canzoni dal grande significato” intende le canzonette con motivetti orecchiabili e bisognerebbe spiegargli che le canzoni di oggi- molto intimistiche e fortemente connaturate con la generazione dell’incertezza- sono difficili da interpretare per uno che ha vissuto la seconda guerra mondiale e anche il paleolitico e che sotto la doccia probabilmente canticchiava al massimo “Fin che la barca va”. Certo non tutte quest’anno hanno brillato per grandi soluzioni ma una domanda sorge spontanea, Baudo li avrà davvero riletti i testi?
Non ci fermeremo qui ad una puntuale disamina o a un riepilogo dei premi e neanche ad una dettagliata critica. Diciamo però che Frankie Hi NRG è risultato davvero sottotono con “Pedala” un brano disimpegnato molto lontano da come lo avevamo conosciuto con “Fight da Faida” mentre ha dato molto di più “Nu Juorno Buono” del giovane Rocco Hunt con un testo che accenna alla terra dei fuochi e anche se non scandaglia per bene il problema ambientale è risultato il più attuale di tutti.
Avvincente l’esibizione dei Perturbazione, il Premio della Sala stampa radio-tv Lucio Dalla è la conferma che i loro racconti della realtà urbana sulla scia del daft punk style funzionano, mentre il connubio Gualazzi & The Bloody Beetroots ovvero tra fusion e dance punk arriva alla finalissima ma non sconvolge pienamente. Neanche Ron riesce a brillare, interessanti le soluzioni di Renzo Rubino e calda la voce di Zibba, vederlo tra le nuove proposte dopo aver girato l’Italia in largo e lungo fa un po’ effetto ma la sua carriera è ben coronata nell’edizione sanremese con il Premio della Critica Mia Martini e il premio della critica Sala Stampa Lucio Dalla, sezione giovani ovviamente. Non sono mancati i figli d’arte e quest’anno sul palco dell’Ariston si sono esibiti anche Filippo Graziani, figlio di Ivan Graziani, e Cristiano De André figlio dell’intramontabile Fabrizio. L’ombra dei “figli di” può rivelarsi quasi una maledizione tanto che Cristiano ha dovuto esorcizzare il fantasma del padre cantando “Verranno a chiederti del nostro amore”. I suoi brani presentati per la kermesse sono di una bellezza disarmante, pura poesia giustamente premiata “Invisibili” per il miglior testo “Sergio Bardotti” e con il Premio della Critica Mia Martini, nella sezione Campioni. Definiamo poi ”bella ma niente di che” la canzone di Riccardo Sinigallia non molto lontano dallo stile Tiromancino ma l’art. 5 del regolamento del Festival non lascia scampo, brano escluso dalla competizione perché già edito.
Le star internazionali. Ottima scelta per quanto concerne le star internazionali con il folk-rock di Yussuf Ilasm, conosciuto meglio come Cat Stevens fino a prima di convertirsi all’Islam, il baroque pop di Rufus Wainwright e Damien Rice mentre il rock soft e alternativo di Paolo Nutini piace, ma solo quando canta in inglese. Il pathos del tosco-scozzese non ha trovato riscontro nelle espressioni del pubblico, sfido chi non abbia accennato a una fragorosa risata sentendolo cantare Lucio Dalla in italiano. Stromae invece piace soprattutto ai giovani e sconvolge la platea con lo stravagante ingresso ciondolante e andatura da ubriaco, una performance a cui gli italiani non sono per niente abituati.
Tutto sommato insomma qualcosa è da salvare ma tanto c’è da lavorare affinché il prossimo Sanremo possa attirare di nuovo il pubblico italiano. Sulle canzoni già si notano dei miglioramenti e la presenza di Gualazzi e Rubino tra i primi tre, i Perturbazione e Zibba ne sono un esempio. Per aprire la strada al nuovo una cosa è tremendamente necessaria da fare e cioè avere il coraggio di cambiare, abbandonare del tutto la nostalgia dei tempi passati, ma anche e soprattutto abbandonare Fazio che ormai è storia vecchia.