Tasse sulle rendite e contratti a termine più facili. La vera svolta è il partito pigliatutto
di Fabio Grandinetti
L’uomo dei cartelli ha detto sì. Sì alla “svolta buona” della comunicazione politica italiana e del Pd. Sulla bontà delle svolte lasciamo tempo al tempo. Intanto più di qualcosa è cambiato a Palazzo Chigi e al Nazareno.
Sotto la guida renziana il Pd riapre i manuali di politologia e, scorrendo i sistemi interpretativi di maggior successo, si ritrova nei modelli di partito più diffusi tra gli studiosi. Già da qualche tempo il Pd può tranquillamente definirsi un “cartel party” o un partito di cartello, appunto. Quel partito caratterizzato dall’interpenetrazione del partito e dello Stato, e da un modello di collusione inter-partitica finalizzato all’autoconservazione, proprio come in economia un cartello limita la concorrenza sul mercato.
Con Matteo Renzi, e soprattutto all’indomani della conferenza stampa show di mercoledì scorso, il Pd può apporre con decisione una spunta affianco ad una categoria analitica diffusa tra gli studiosi già a partire dagli anni Sessanta, quella del “catch-all party” o partito pigliatutto: drastica riduzione del bagaglio ideologico, rafforzamento dei gruppi dirigenti di vertice, diminuzione del ruolo del singolo membro del partito, minore accentuazione del ruolo di riferimento di una specifica classe sociale, facilitazione dell’accesso a diversi gruppi di interesse e, soprattutto, indifferenziazione programmatica.
Con le slide della “svolta buona”, curate dai grafici baresi di Proforma – gli stessi che hanno curato la vittoriosa campagna elettorale di Vendola – che per l’occasione hanno affermato di essersi “ispirati” allo split screen di Obama, Renzi ha lanciato un nuovo modello di comunicazione istituzionale e, cosa più importante, ha annunciato le misure approvate in consiglio dei ministri. Approvate ma non ancora varate, ma sta di fatto che le proposte avanzate dal premier, giuste o sbagliate che siano, sembrano scientificamente create per accontentare tutti, per “pigliare tutti”, appunto.
Nei “compiti a casa” della “svolta buona”, nei “100 giorni di lotta durissima” per recuperare 50 posizioni nella “classifica del fare” troviamo la riduzione dell’Irap del 10% finanziata dalla rimodulazione della tassazione sulle rendite finanziarie, che passa dal 20 al 26%. Una misura che qualcuno ha candidamente definito di sinistra. Sul piano del lavoro, la riforma annunciata da Renzi prevede la semplificazione dell’apprendistato, contratti a termine più facili e più volte prorogabili. Un piano definito di destra, come dimostrano i salti di gioia di Alfano e l’irrigidimento della Cgil, che non pone freni alla precarizzazione del lavoro. Ma Renzi non ha dimenticato di accontentare neanche il grande partito dell’Antipolitica, annunciando la vendita all’asta su ebay di un centinaio di auto blu. Un po’ pochine, ma qualcuno avrà accolto con soddisfazione l’idea. Punto forte dello show del 12 marzo, la slide con carrello della spesa sullo sfondo: 1000 euro netti in più all’anno a chi ne guadagna meno di 1500 al mese. Un capolavoro. L’altra parte di Paese da pigliare è quella che gira con la tessera elettorale nel portafoglio, che sceglie di votare chi glielo fa pesare di più.
Con tanti sorrisi e una trentina di slide – ne bastano due per smantellare la riforma del titolo V – Renzi cuce addosso al Pd il vestito del “cacth-all party”. Il primo in Italia, considerando che Berlusconi, a cui va riconosciuta una certa coerenza, i voti di comunisti e omosessuali non li ha mai cercati
Foto: Palazzochigi on Flickr