Dagli scontri di via Veneto inizia l’opposizione a Renzi e al suo Job Act
di Pierfrancesco Demilito
I movimenti per la casa, la sinistra radicale, quel pezzo di Paese che davvero non si sente “rappresentato da nessuno” ha dichiarato guerra a Matteo Renzi e al suo Governo. Lo ha fatto con durezza e violenza, sabato scorso a Roma, in via Veneto, assediando il Ministero del lavoro e scontrandosi con le forze dell’ordine. Ma lo ha sfidato a gran voce anche durante tutto il percorso del corteo che ha sfilato per le vie del centro della Capitale.
I manifestanti si erano dati appuntamento a Porta Pia, ai piedi del Ministero delle infrastrutture, per protestare contro il Piano Casa promosso dal ministro Lupi. Ma il vero obiettivo della manifestazione è apparso chiaro sin dall’inizio: Matteo Renzi e il suo Job Act. E l’assedio proprio al ministero del Lavoro ne è la prova.
Su Il Messaggero di ieri, in quello che il suo giornale ha definito un retroscena, Cristiana Mangani ha scritto: “Compaiono sulla scena con i loro k-way e vengono subito ribattezzati i blu block … Hanno un disegno: provocare, disturbare, rendere vana la manifestazione”. Noi sabato abbiamo avuto un’altra impressione. Quell’assedio è stato una scelta di tutto il corteo. Non è un caso se la testuggine, che per quasi trenta minuti si è fronteggiata con le forze dell’ordine, è stata preceduta su Via Veneto da un folto gruppo di famiglie di occupanti e di migranti. E non è un caso se quel corteo non si è disperso dopo gli incidenti e, anzi, si è ricompattato completando il percorso prestabilito.
Non abbiamo assistito a scene di saccheggio, a vetrine infrante, cassonetti o auto incediati, gesti – questi sì – che avrebbero potuto far deragliare la manifestazione.
Gli scontri di sabato sono stati l’ennesima richiesta di ascolto di una sacca consistente del Paese che non si sente rappresentata, che da anni viene spremuta dalla precarietà e che oggi più di tutti sta pagando il prezzo della crisi. Un’azione violenta e discutibile, tant’è che una discussione si sta aprendo all’interno del movimento stesso, visto che al termine del corteo Paolo Di Vetta dei Blocchi precari metropolitani ha commentato: “C’è da capire se il meccanismo dell’assedio convince ancora”. Ma bollare quel corteo come il semplice raduno di una manica di violenti e continuare a non confrontarsi con queste persone e con i loro problemi sarebbe sbagliato.
Quando, solo qualche settimana fa, venti imbecillotti sono stati arrestati perché intenti ad acquistare armi da trafficanti albanesi e trasformare un trattore in un tank per far guerra all’Italia e ottenere l’indipendenza del Veneto, frotte di giornalisti hanno detto e scritto che in un certo qual modo bisognava comprendere la rabbia di una regione che aveva conosciuto la ricchezza e che oggi sta vivendo la crisi. Oggi, a quei colleghi, chiedo lo sforzo di provare a comprendere chi invece non ha mai conosciuto, non dico la ricchezza, ma nemmeno il benessere e va a braccetto con la povertà e non vede prospettive.
Più volte, in passato, e chissà quante altre volte in futuro, Matteo Renzi ha reso omaggio a Giorgio La Pira, storico sindaco democristiano di Firenze e colonna portante del Pantheon del giovane segretario del Partito Democratico. Al presidente del Consiglio vogliamo allora ricordare che La Pira nel 1953, per far fronte alla dilagante crisi abitativa e ai numerosi sfratti, dispose la requisizione degli immobili privati sfitti. Una scelta ben diversa da quella del governo Renzi, che oggi, in virtù dell’articolo 5 del del decreto legge n. 47 del 2014, vieta l’allaccio di luce e acqua nelle occupazioni a scopo abitativo.
La decisione che prese La Pira nel dopoguerra fu straordinaria e senza precedenti e inevitabilmente scatenò proteste accese e non poche denunce. La Pira, però, fu irremovibile, non indietreggiò di un passo e in una lettera aperta ad Ettore Bernabei, direttore del Giornale del Mattino, scrisse: “Devo lasciarmi impaurire da queste denunce penali che non hanno nessun fondamento giuridico – e tanto meno morale – o devo continuare, e anzi con energia maggiore, a difender come posso la povera gente senza casa e senza lavoro? (…) Un sindaco che per paura dei ricchi e dei potenti abbandona i poveri –sfrattati, licenziati, disoccupati e così via- è come un pastore che, per paura del lupo, abbandona il suo gregge”. La speranza è che Renzi trovi lo stesso coraggio e che ci proponga davveroun cambiamento e non la solita ricetta con altisonanti nomi esterofili. Oggi il cambiamento è stare con gli ultimi, pensare a chi negli ultimi decenni è stato dimenticato.
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