La storia del “Kon-Tiki”, il viaggio di Thor Heyerdahl
di Sabrina Innocenti
La terza edizione del Nordic Film Fest, tenutosi a Roma dal 9 al 13 aprile, si è aperta quest’anno con un evento speciale: la presentazione al pubblico italiano del film Kon-Tiki e la riproposizione del documentario Kon-Tiki, vincitore del Premio Oscar come miglior documentario nel 1952, controparte storica dell’omonimo film norvegese del 2012, candidato all’Oscar e al Golden Globe come miglior film straniero nel 2013. Viene così celebrato il centenario della nascita del grande esploratore norvegese Thor Heyerdahl, nato il 6 ottobre 1914 a Larvik in Norvegia e morto in Italia a Colla Micheri, in Liguria, il 18 aprile 2002. In sala erano presenti ospiti d’eccezione come Marian Heyerdahl, figlia dell’esploratore, il produttore del film Aage Aaberge e l’attore protagonista Pål Sverre Hagen.
Film e documentario sono altrettanto importanti per la comprensione della straordinaria impresa intrapresa dall’etnologo Thor Heyerdahl, che nel 1947 si imbarca per un incredibile viaggio a bordo di una zattera di balsa, il Kon-Tiki appunto, realizzata senza l’ausilio dei mezzi moderni ma seguendo le conoscenze che si possedevano sulle modalità di costruzione delle imbarcazione degli antichi Inca, partendo dal Perù e raggiungendo le coste delle isole polinesiane in 101 giorni di navigazione insieme ad altri cinque membri dell’equipaggio (in totale cinque norvegesi e uno svedese), spinti solo dai venti e dalle correnti oceaniche. Lo scopo del viaggio era semplice: Heyerdahl voleva dimostrare come 1500 anni primi gli Inca potessero raggiungere la Polinesia e quindi smentire le teorie comuni che gli abitanti di queste isole fossero discendenti delle popolazioni asiatiche, ipotizzando quindi una migrazione di popoli da est e non da ovest come si era sempre ritenuto. L’impresa, nonostante il pessimismo generale, riuscì senza particolari difficoltà, come mostrato e descritto dall’esploratore stesso nel suo documentario. Questa però non è stata la definitiva prova che quanto ipotizzato fosse realmente avvenuto (negli anni successivi la sua teoria verrà infatti smentita dagli studi genetici condotti sulla popolazione polinesiana) ma dimostrava che ciò era possibile e, cosa ancora più importante, che migliaia di anni fa i mari e gli oceani non erano per le popolazioni antiche delle barriere ma erano delle “strade”, delle vie percorribili per spostarsi da un continente all’altro, e sotto questa nuova ottica vanno ripensate e analizzate le teorie sulla migrazione dei popoli antichi.
Il documentario, primo film norvegese a vincere un Oscar, è stato girato durante la realizzazione della zattera e durante i 101 giorni di viaggio, con l’ausilio di una camera da 16mm. Le immagini in bianco e nero mostrano la vita all’interno dell’imbarcazione, Thor Heyerdahl descrive accuratamente come hanno potuto sopravvivere per più di 3 mesi nel mezzo dell’Oceano Pacifico, e quindi come potevano sopravvivere i navigatori Inca, nutrendosi dei pesci che l’oceano stesso forniva, anzi donava ai sei esploratori i quali la mattina si svegliavano con la raccolta dei pesci volanti che si erano arenati sulla zattera. Mostra gli incontri con le grandi creature marine e con i feroci squali, a smentire inoltre la teoria dell’epoca secondo cui i pesci si trovassero solo in prossimità delle coste e non in aperto oceano, e ci regala l’emozionante immagine dell’approdo in Polinesia.
Questo documentario è un importante testimonianza della capacità umana di seguire un obiettivo e mettere a frutto tutto il suo ingegno senza abbandonarsi mai al pessimismo e allo scoraggiamento. Ci permette quasi 70 anni dopo di essere partecipi di una delle più grandi imprese che un uomo possa realizzare e di assistere alle scoperte che giorno dopo giorno, miglio dopo miglio, sei uomini comuni ma straordinari hanno regalato a un mondo che in quel preciso contesto storico stava affrontando un buio periodo di depressione post-bellica, ridando un po’ di speranza sulle possibilità umane, speranza che gli orrori della guerra aveva cancellato.
Se il documentario è una riproposizione fede di quanto avvenuto sul Kon-Tiki nel corso di quei 101 giorni, il film norvegese del 2012 ci fa entrare invece in un viaggio più interiore. La realizzazione del film ha richiesto più di dieci anni. È dal 1996, infatti, che il produttore Aage Aaberge cerca di ottenere i diritti del libro Kon-Tiki di Heyerdahl, che aveva avuto più di 50 milioni di copie vendute, ottenendoli infine solo nel 2002, poco prima della sua morte, e riuscendo a completare il film nel 2012.
A colpire maggiormente lo spettatore sono sicuramente le grandiosi immagini, realizzate tra Malta e i Caraibi, del viaggio in mare, con la sua vastità, calma, quasi come una mano che porta nel proprio palmo la piccola zattera fino in Polinesia. Le scene di azione certamente non mancano, con l’attacco degli squali, la tempesta che nei primi giorni di viaggio sorprende l’equipaggio e il pathos generato dalla vista della grande balena. Ma non sono solo le immagini, di stampo quasi hollywoodiano, a colpire. Il viaggio del Kon-Tiki è anche un viaggio interiore, è l’uomo che si abbandona alla natura, che l’asseconda fino a diventare una sola cosa, quella natura che può sembrare un ostacolo e che invece Heyerdahl dimostra essere una risorsa se ci si approccia ad essa con il giusto spirito. È la vittoria della pratica sulla mera teoria, dell’agire, del provare con mano, dell’inseguire la propria intuizione fino alla fine senza farsi scoraggiare dai no e dal pessimismo che circonda la grande impresa come la piccola. È la fede senza la quale non si potrebbero fare quelle cose che sembrano andare al di là delle nostre possibilità, fede non intesa però solo in senso religioso, ma fede in se stessi, nei propri mezzi e nelle proprie idee.