Roma, aumenta la spesa per la gestione dei “campi nomadi”
Campi, centri di raccolta e sgomberi costano al Comune di Roma 24 milioni di euro. Nel 2013 è più che raddoppiata la spesa per la gestione e la sicurezza, mentre i costi per l’inclusione sociale risultano quasi inesistenti. Un flusso di denaro pubblico, denuncia l’Associazione 21 luglio, che sottrae ingenti risorse alle casse comunali, con costi destinati ad aumentare anche nel 2014, generando esclusione e discriminazione. Per invertire la tendenza, si legge nel rapporto presentato il 12 giugno, occorre superare il “sistema campi” investendo in soluzioni abitative differenti, come dimostrano le esperienze di Padova e Messina.
Il rapporto – La ricerca “Campi Nomadi s.p.a. – Segregare, concentrare e allontanare i rom. I costi a Roma nel 2013”, presentata in conferenza stampa in Campidoglio, evidenzia gli altissimi costi sostenuti nel solo 2013 per mantenere il “sistema campi”, accendendo i riflettori sugli spazi di segregazione spaziale, abitativa e sociale: 8 “villaggi attrezzati” (“villaggi della solidarietà” con l’alternarsi della giunta nel giugno 2013), 3 “centri di raccolta rom”, 54 azioni di sgombero forzato. “Dei 24.108.406 euro spesi dal Comune di Roma nel 2013, l’86,4% è stato utilizzato per la gestione dei “campi” in cui vivono 5.000 degli 8.000 rom presenti nella Capitale e per la vigilanza e la sicurezza all’interno degli stessi; il 13,2% è stato rivolto ad interventi di scolarizzazione, soltanto lo 0,4% del totale è stato destinato all’inclusione sociale dei rom”, ha evidenziato il presidente dell’Associazione 21 luglio, Carlo Stasolla.
Una delle principali criticità riguarda le ingenti risorse destinate ai 35 enti pubblici e privati, che gestiscono più dell’80% dei progetti con affidamento diretto, tra cui “Consorzio Casa della Solidarietà” e “Risorse per Roma” con finanziamenti rispettivamente pari a 4.242.028 euro e 3.757.050 euro, nonché l’impiego di 400 soggetti attorno alla “questione rom”. Alla ricostruzione puntuale delle spese si accompagna la descrizione delle forme di miseria che interessano tutti i soggetti del “sistema campi”, dagli abitanti ai compensi attribuiti agli operatori sociali che vi lavorano fino ad arrivare alle responsabilità dei rappresentanti istituzionali che, in nome dell’ “emergenza nomadi”, di fatto, non hanno promosso reali percorsi di inclusione sociale. Un tema, quest’ultimo, che chiama in causa l’amministrazione capitolina, rappresentata da Riccardo Magi, consigliere comunale radicale della Lista Civica per Marino, che ha ribadito la necessità di “un cambio di prospettiva”, riconoscendo le criticità evidenziate dallo studio, in particolare “un uso di risorse pubbliche ingenti a fronte di risultati che non arrivano”, invitando, quindi, il Comune di Roma a rivedere il “modello delle politiche adottate”.
Possibili alternative – Scongiurare l’estensione della “segregazione” che, per usare un paragone in termini di superficie, ha raggiunto con i campi rom la dimensione di 22 campi di calcio, è l’assunto da cui muove il dossier. “Un sistema esoso, a sostenibilità zero, che fagocita soldi pubblici”, ha esordito la ricercatrice Angela Tullio Cataldo, d’accordo con il giornalista dell’agenzia di stampa Redattore Sociale, Giovanni Augello, che ha introdotto le buone prassi di superamento dei “campi nomadi”.
Il progetto di inserimento abitativo “Casa e/è lavoro” basato sull’autorecupero di stabili in disuso a Messina e il “Villaggio della Speranza” a Padova, imperniato sull’autocostruzione e rivolto ai sinti residenti, rappresentano due modelli virtuosi in termini di costi e salvaguardia dei diritti umani. Stando ai dati del dossier, in Sicilia e in Veneto si spenderanno in 5 anni rispettivamente 10.000 euro e 50.000 euro per una famiglia rom di 5 persone. A Roma, la stessa tipologia di famiglia che vive nel “campo” de La Barbuta, l’ultimo «villaggio attrezzato» inaugurato nel 2012, costerà alle casse comunali 155.000 euro in 5 anni.
Un esempio concreto per il contesto urbano di Roma illustrato dall’ingegnere Stefania Viceconti riguarda un edificio a Tor Marancia, nel quartiere ardeatino. Si tratta di un progetto di autorecupero a fini residenziali, regolato dalla Legge Regionale n.55 del 1998, che darebbe alloggio a 22 famiglie, partendo da un edificio dismesso individuato tra i 1.200 ettari di immobili abbandonati presenti attualmente sul territorio comunale. Una proposta volta a favorire una reale integrazione dei rom, abbattendo i costi e dirottando le risorse verso l’inclusione sociale, partendo da una nuova e differente volontà politica dell’amministrazione, che si traduca nella sperimentazione di nuove soluzioni abitative a vantaggio dell’intera cittadinanza.
Fonte foto: www.21luglio.org