Mommy. La violenza dei sentimenti tra madre e figlio
Mommy di Xavier Dolan, dopo aver incantato Cannes e aggiudicandosi il Gran Premio della Giuria a pari merito con l’ultima pellicola del maestro Jean-Luc Godard, arriva nelle sale italiane.
A molti il nome di Xavier Dolan non dirà niente, ma il giovanissimo regista canadese (è del 1989) vanta già cinque lungometraggi, tra i quali ricordiamo l’emozionante Tom a la Farme in concorso a Venezia 2013, purtroppo non distribuito in Italia.
Mommy è un pugno allo stomaco, una storia di sofferenza e amore di una madre single alle prese con un figlio difficile.
Dianne Despres (Anne Dorval) è costretta a riprendere a casa con se Steve, interpretato magistralmente da Antoine-Olivier Pilon, fino ad ora chiuso in un centro di educazione per minori. La nuova vita insieme a Steve non è facile; il ragazzo soffre, infatti, di disturbi comportamentali, deficit di attenzione, iperattività e bipolarismo. Fino ad un attimo può andare tutto benissimo e poi d’un tratto la situazione può precipitare tragicamente. È durante una violenta lite che nella quotidianità di Dianne e Steve irrompe una terza figura, una “seconda mamma”, la mansueta e riservata vicina Kyla (Suzanne Clément). Grazie all’aiuto della donna si crea tra i tre un precario equilibrio che fa presagire una speranza.
Dolan, che ha firmato anche la sceneggiatura, afferma di essere approdato a questa storia perché «Se c’è un tema, anche solo uno che conosco meglio di qualsiasi altro, uno che m’ispira incondizionatamente, e che amo sopra a tutti gli altri, è certamente mia madre, e quando dico mia madre, intendo la madre in senso lato, la figura che rappresenta».
Mommy, tuttavia, affronta con maturità altre tematiche forti, oltre alla violenza del sentimento edipico, c’è la crisi economica delle madri sigle, c’è il problema degli ospedali e dei centri di rieducazione, c’è la critica all’industria farmaceutica che lobotomizza i pazienti.
Dolan riesce a metterti con le spalle al muro, sia nella sceneggiatura che nella messa in scena, Mommy è un film maturo, autentico e toccante.
Il regista, da buon conoscitore del mercato commerciale statunitense, sceglie con spregiudicatezza di dare al film un assetto formale, senza rinunciare alla componente sperimentale, come nella scelta dei formati (la maggior parte della pellicola è in formato 1:1 così da trasmettere allo spettatore la situazione di prigione mentale in cui vivono i protagonisti, mentre qualche sequenza si apre al formato 16:9 per aumentare la sensazione di libertà).
La cinepresa non si stacca dai corpi e dai volti dei personaggi, li riprende in primissimi piani, in continui campi/contro campi. Questo movimento febbricitante si alterna a evocativi ralenti ed a virtuosi esercizi di montaggio, lirica è la sequenza in cui Dianne si immagina il futuro del figlio sulle note di Ludovico Einaudi.
Dal punto di vista cromatico, le tinte sature della fotografia di Andrè Turpin, che esasperano la luce solare e varano verso il blu elettrico, il giallo, il verde per gli ambienti interni, donano a Mommy un’estetica intima e ammaliante.
Basterebbero questi elementi a eleggere Mommy come miglior film dell’anno, ma in più Dolan elabora una partitura musicale sublime. I rumori, i volumi musicali si alzano e abbassano di continuo. Musica diegetica ed extradiegetica si mescolano in un commento musicale elegiaco dai tratti iper-pop (da Einaudi a Dido, Lana Del Rey, Oasis fino a una versione karaoke di Vivo per lei di Bocelli).
Sebbene il giovane regista si dichiari estraneo a un certo tipo di cinema autoriale, l’influenza di di Gus Van Sant, dei fratelli Dardenne, di In the Mood for Love di Wong Kar Wai, del primo Bertolucci e di Truffaut si sente. Si sente nell’abilità di calibrare tutti gli elementi estetici, formali e narrativi per dar vita a un piccolo capolavoro. L’opera di un enfant prodige, che si occupa in prima persona di tutti gli aspetti del suo film, dalla regia, alla sceneggiatura, al montaggio, al sonoro.