Pasolini: chiesta archiviazione per l’ultima inchiesta
A quasi quarant’anni dalla sua morte, sembrano destinati a rimanere senza un volto i presunti complici dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini, uno tra i più controversi, ma anche tra i più acuti ed intensi intellettuali italiani del XX secolo. Aperta dopo la denuncia presentata dal cugino nel 2010, la Procura di Roma ha chiesto nei giorni scorsi l’archiviazione dell’ultima indagine sui fatti del 2 novembre 1975. Di cinque codici genetici rintracciati sui vestiti che l’artista indossava la notte del suo assassinio all’idroscalo di Ostia, nessuno sembra avere “un nome” e così, questi nuovi elementi, pur confermando la presenza sul luogo del delitto di altre persone oltre Pino Pelosi (unico condannato per l’omicidio) rischiano di chiudere il procedimento con un nulla di fatto.
Inumana morte. Intenso, inesauribile e estremamente versatile, il genio dello scrittore, poeta, giornalista, regista e drammaturgo bolognese, Pier Paolo Pasolini, si spense nell’idroscalo di Ostia il 2 novembre 1975. Un appena diciassettenne Giuseppe Pelosi, detto “la Rana”, lo uccise atrocemente. Come ricostruito all’epoca dalla polizia, Pino Pelosi s’impadronì di un bastone con il quale lo stesso Pasolini lo aveva minacciato: una lite furiosa esplosa dopo che il giovane aveva rifiutato alcune pretese sessuali da parte dell’artista. Pelosi percosse Pasolini fino a farlo stramazzare al suolo, poi, salito a bordo dell’auto dello scrittore, lo travolse più volte, sfondandogli la cassa toracica e provocandone la morte. Pelosi venne condannato in primo grado per omicidio volontario in concorso con ignoti e il 4 dicembre del 1976 con la sentenza della Corte d’Appello, venne confermata la condanna dell’unico imputato a 9 anni e 7 mesi di reclusione. L’ultima sentenza, però, aveva sconfessato l’ipotesi del coinvolgimento di altre persone nell’omicidio. Un’ipotesi che negli anni è spesso tornata ad infittire la trama del mistero: lo stesso Pelosi ha più volte dichiarato, anche di recente, di non aver agito da solo quella notte, in quello spiazzo all’estrema periferia della capitale, poco lontano da un campo sportivo ed alle spalle delle capanne dei pescatori.
Cinque tracce senza volto. Macchie di sangue con DNA appartenenti ad altre persone e non a Pino Pelosi, così era stato aperto un nuovo procedimento a carico di ignoti su istanza presentata da Guido Mazzon, cugino di Pier Paolo Pasolini, nel 2010. Una svolta risolutiva che, invece, non si è dimostrata tale: sembra infatti irrealizzabile l’attribuzione di un’identità a chi, con ogni probabilità, era con Giuseppe Pelosi quella terribile notte del ‘75. “È impossibile determinare se quelle tracce sugli indumenti e sugli altri reperti siano precedenti, coevi o successivi all’evento delittuoso” questa la motivazione principale alla base della richiesta di archiviazione formulata dal procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e dal sostituto Francesco Minisci, che sarà presto all’attenzione del gip. Gli inquirenti, in particolare, non hanno potuto attribuire i 5 DNA isolati dai carabinieri del Ris sui vestiti indossati dal poeta la notte dell’omicidio e su alcuni reperti. Inoltre, come si spiega nel provvedimento dei pubblici ministeri, le tracce genetiche non sarebbero collocabili nel tempo e nessun indizio utile è venuto dalle testimonianze delle 34 persone sentite nel corso degli accertamenti, compresa quella di Pelosi che aveva raccontato di una aggressione ai danni dello scrittore compiuta da almeno tre persone. L’avvocato Stefano Maccioni, legale di Guido Mazzon, nel commentare la richiesta di archiviazione, ha fatto sapere: “L’aspetto sicuramente più significativo che emerge da un esame seppur sommario degli atti del procedimento è la sicura presenza di ulteriori profili genetici presenti sulla scena del delitto riconducibili ad almeno altri due soggetti maschili allo stato rimasti ignoti. Mi riferisco ad un DNA riscontrato nella parte interna anteriore dei pantaloni jeans indossati quella sera da Pasolini e dai campionamenti effettuati sul plantare ritrovato all’interno dell’Alfa Gt del poeta.” “Devo dare atto alla procura di aver svolto, attraverso l’ausilio dei Ris e degli uomini del nucleo investigativo dei carabinieri, approfondite indagini su varie piste investigative sottoposte alla loro attenzione – ha continuato il penalista – Ci riserviamo, tuttavia, una volta valutati con attenzione i risultati delle indagini, di proporre eventuale opposizione alla richiesta di archiviazione indicando nuove fonti di prova.” Per l’avvocato, comunque, “viene riaffermata la correttezza del ragionamento posto alla base della prima sentenza emessa dal tribunale dei minori di Roma nei confronti di Giuseppe Pelosi. Con la quale si attestava la presenza sulla scena del crimine di altre persone, oltre Pelosi, rimaste ignote.”
Un puzzle senza soluzione. “Amo ferocemente, disperatamente la vita. E credo che questa ferocia, questa disperazione mi porteranno alla fine. Amo il sole, l’erba, la gioventù. L’amore per la vita è divenuto per me un vizio più micidiale della cocaina. Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile. Come finirà tutto ciò? Lo ignoro.” Non aveva pudore Pasolini nel descrivere la sua passione per la vita ed il suo umano dubbio su un non prevedibile futuro. Ironia della sorte o ultima opera? Sicuramente, è una passione tradita da un ultimo colpo di scena in cui, nel gioco di un destino beffardo, “nuovi elementi” emersi non sono sufficienti a chiudere il cerchio intorno alla sua morte. Una pièce teatrale su cui cala il sipario senza che vi sia esaltazione finale, visione, soluzione, un testo senza un punto che ci ricorda una volta ancora l’amarezza di un pezzo mancante, irrimediabilmente perso.
(di Annalisa Spinelli)