Calcio e violenza: un vecchio legame da sciogliere
Il calcio e la violenza, un binomio troppo spesso presente nelle pagine di cronaca nera. Potrebbe sembrare strano l’accostamento dello sport più seguito al mondo, con atti deprecabili come quelli accaduti per esempio a Roma in occasione dei sedicesimi di finale di Europa League tra Roma e Feyenoord. In realtà facendo un’analisi storica tra i giochi e la passione, potremmo tornare fino ai primi cento anni dopo Cristo, Giovenale sommo poeta romano nella sua opera Saturae già aveva inquadrato e sintetizzato ciò che veniva bramato dalla plebe e dalla piccola borghesia: “Panem et circenses” (pane e giochi). Al cittadino medio basterà quindi dare da mangiare quanto basta e farlo assistere ai giochi per renderlo felice. Ma ciò che Giovenale non aveva considerato era l’elemento catartico dei giochi, i romani nelle arene tifavano per il proprio gladiatore preferito e volevano la distruzione dell’avversario.
Oggi i giocatori di calcio incarnano alla perfezione la figura del gladiatore, basta pensare a come alcuni di loro sono in grado di attirarsi l’odio di tutti gli stadi in cui giocano o come altri siano in grado di diventare dei veri e propri idoli per i tifosi. Un esempio di come i calciatori vengano considerati dall’uomo medio delle vere e proprie divinità è quello relativo alle vendite delle loro biografie, libri spesso scritti da giornalisti che hanno pochi incontri con atleti dalle giornate impegnate, ma che puntualmente sono tra i più richiesti nelle librerie. Ma se nell’antica Roma all’imperatore era lasciata la scelta di volgere in alto o in basso il pollice, negli stadi tutti gli spettatori sono protagonisti, così i novanta minuti di gioco diventano un momento da passare con chi ha la tua stessa passione, ma per alcuni andare allo stadio non è solo questo, è una difesa del proprio feudo, così la passione diventa fede e come ben sappiamo in questo particolare momento storico, la fede se mal interpretata può diventare molto pericolosa.
I governi del mondo, in particolare d’Europa e Sud America, nel corso dei decenni dello scorso secolo si sono trovati a dover fronteggiare quello che diventava sempre più un problema. In Europa come sempre la frattura tra Nord e Sud è stata ampia, i temutissimi hooligans sono stati fermati dalla politica repressiva della Lady di ferro Margaret Thatcher, la Premier iniziò la sua guerra alla violenza nel 1985 con lo Sporting Events Act che proibiva la vendita di alcolici negli stadi e lungo il percorso che i pullman dei tifosi compivano per arrivare negli stadi. Nel 1986 fu promulgato il Public Order Act, un DASPO in chiave inglese arrivato con un discreto anticipo in confronto all’equivalente italiano. Infine nel 1989 dopo il disastro di Hillsbrough, in cui morirono 96 persone, fu imposto l’obbligo di mostrare la carta d’identità all’ingresso dello stadio ed inoltre Scotland Yard ebbe una sezione apposita denominata National Crime Intelligence Service Football Unit, una sezione speciale di sorveglianza per combattere il fenomeno violenza negli stadi.
Ma lo Stato si impose anche sui club, costretti a modernizzare gli stadi, eliminare le gradinate (il cuore del tifo inglese), installare telecamere interne, inoltre fu dato più potere agli steward, che di fatto permisero negli anni di utilizzare sempre meno forze di polizia all’interno degli stadi, limitando quindi gli scontri tra forze dell’ordine e tifosi. Se il Nord Europa si è adeguato a questo esempio, il Sud no. Gli interessi che circolano intorno al pallone sono negli anni aumentati invece di diminuire, parliamo ovviamente soprattutto di interessi politici. Alcuni presidenti hanno sfruttato il calcio come mezzo di propaganda per le campagne elettorali, inoltre militanti di estrema destra e sinistra sono entrati di prepotenza nelle curve e tutelati da politici compiacenti hanno avuto carta libera per avere la loro vetrina novanta minuti ogni settimana. Il problema nel Sud Europa si è fatto sempre più pressante negli ultimi anni, Spagna, Italia, Grecia, Balcani e Turchia, episodi di violenza in questi paesi sono all’ordine del giorno ogni settimana.
Alexis Tsipras nuovo Premier ellenico sta dando messaggi forti all’Europa, ma anche alle frange estreme di tifo, sospendendo per alcune settimane la Souper Ligka Ellada, massima serie greca. In Italia purtroppo le soluzioni cervellotiche negli anni hanno solo girato intorno al vero problema, la famosa tessera del tifoso per esempio non è servita a fermare l’oggi famoso Genny “La Camorra”, che ha potuto discutere con le autorità la possibilità di disputare o meno la finale di Coppa Italia, davanti alle più alte cariche istituzionali nazionali. Molto spesso sono anche le stesse società a non avere interesse nel migliorare la situazione, come se per citare le parole di una persona interna al mondo del calcio, l’allenatore Fabio Capello, “le società fossero ostaggio dei tifosi”. Tutti sappiamo che l’educazione è il modo migliore per formare i futuri cittadini italiani e quindi i futuri frequentatori degli stadi nel nostro paese, perché allora le società invece di mantenere strutture per metà vuote non cercano di coinvolgere i bambini delle scuole, invitandoli allo stadio a prezzi contenuti? Magari portando giocatori nelle strutture a spiegare ad i più giovani i comportamenti da tenere? Molte iniziative sarebbero interessanti, ma purtroppo sembra che gli alti dirigenti del pallone siano più interessati a spartirsi i diritti TV che a ciò. Forse le cose cambieranno quando più società avranno stadi di proprietà e saranno maggiormente coinvolte nella sicurezza di essi, ma la lentezza della burocrazia italiana rende il cambiamento molto lento. Nel frattempo molte famiglie si sono allontanate dallo stadio e di anno in anno gli episodi di cronaca si moltiplicano e le vittime di calcio assomigliano sempre più ad un bollettino di guerra che pochi impongono a molti. L’Italia inoltre riceve la maglia nera per invasioni o intemperanze commesse da stranieri, in gita “di piacere” nella nostra penisola, gli episodi di Roma, o di Ivan “il terribile” Bogdanov a Genova sono solo le ultime punte di un iceberg che è legato ad un sistema paese che si basa sull’incertezza della pena. La situazione è speculare a quella dei black block europei spesso impegnati in trasferte in Italia, piuttosto che in azioni nei loro paesi o delle intercettazioni che hanno visto protagonisti alcuni cittadini rumeni che dicevano ai loro connazionali di venire a rubare in Italia, perché qui nessuno punisce nessuno. La sensazione è che probabilmente se in Italia le leggi fossero applicate, anche molti problemi riguardanti la violenza negli stadi, sarebbero risolti.
(di Francesco De Felice)