Quante vite ancora prima che sia strage?
Una volta finita la Seconda Guerra Mondiale, quando venne scoperto l’orrore dei campi di concentramento tedeschi e fu evidente a tutti il massacro perpetrato per anni dai ligi funzionari nazisti, con il complice silenzio di tanti normali cittadini che girarono la testa dall’altra parte, gli alleati costrinsero migliaia di tedeschi a visitare quei campi di sterminio. Molti furono costretti a seppellire i corpi ritrovati nei campi dopo la fuga dei soldati tedeschi, affinché vedessero con i loro occhi cosa era accaduto a milioni di persone proprio accanto alle loro case.
Lo scorso week-end, con oltre mille banchetti voluti da Matteo Salvini e distribuiti in tutta Italia, in una tragicomica campagna, sono state raccolte le firme per “Chiedo asilo anch’io”. Le adesioni, da Nord a Sud, sono state tantissime. Tanta “brava gente” italiana convinta che sia meglio essere migranti piuttosto che italiani. Convinti che sarebbe stato meglio essere nati sull’altra sponda del Mediterraneo.
Ecco, con loro dovremmo fare come fecero gli alleati con i tedeschi. Dovremmo organizzare dei voli charter e spedirli a Malta. Dovremmo portarli lì, dove arriveranno le vittime di quest’ultimo naufragio. Dovrebbero vederli con i loro occhi settecento sacchi neri stesi uno accanto all’altro, sentire l’odore di quei corpi senza vita, vedere quanto sono piccoli gli oltre cinquanta bimbi che morti in mare.
Solo così, forse, potremmo fermare le parole in libertà di questa gente. Perché “le parole sono importanti”. E forse proprio per questo qualche anno fa tanti giornalisti e tanti attivisti decisero di smettere di usare la parola immigrati. Lo fecero per una serie di motivi: perché ormai quel termine veniva usato in modo dispregiativo, ma anche perché speravano che usando il termine migrante fosse chiaro che dietro quegli uomini che attraversano il Mediterraneo su di una carretta c’è una lunga storia di migrazione. Il loro viaggio spesso inizia molto prima di arrivare in Italia, dura anni lungo l’ Africa e il deserto, anni di abusi, violenze, povertà e privazioni, e continua ancora, oltre le nostre coste, verso il Nord Europa.
Forse dovremmo cambiare ancora, smettere di chiamarli migranti, perché neanche questo termine è riuscito a creare empatia negli italiani. Dovremmo provare a chiamarli semplicemente persone. Cosa importa da dove vengono o dove vogliono andare. La notizia è che più di settecento persone sono morte mentre cercavano di migliorare la loro condizione di vita. Persone come me e come voi, con gli stessi sogni, gli stessi bisogni, le stesse paure.
E’ giunto il momento di approcciarci alla tragedia dell’immigrazione con la stessa drammaticità che usiamo quando le vittime sono italiane, europee o più semplicemente con la pelle bianca. Solo negli ultimi quattro mesi, nel Mediterraneo, sono morte circa 1500 persone: 46 volte di più delle vittime della Costa Concordia, 10 volte di più di quelle del volo Germanwings, 75 volte di più di quelle di Charlie Hebdo, 375 volte di più di quelle del Tribunale di Milano, quasi 5 volte di più delle vittime del terremoto dell’Aquila, 55 volte di più di quelle del Terremoto dell’Emilia, 7 volte di più delle vittime dell’attentato nella metro di Madrid, 28 volte di più delle vittime degli attentati sugli autobus di Londra del 2005, 19 volte di più dei norvegesi uccisi da Breivik.
Dovremmo pensare a questi numeri e a questi confronti. Non abbiamo bisogno di grillini come l’onorevole Scagliusi che usa quelle vittime per attaccare Renzi. Non abbiamo bisogno dei toni da campagna elettorale del leader leghista Matteo Salvini, che sulla xenofobia ha costruito un’intera carriera politica. Non abbiamo bisogno dei tweet del Presidente del Consiglio. Ora basta, abbiamo bisogno di soluzioni, basta vite spezzate nel Mediterraneo. E se nemmeno di fronte a questa ennesima strage riuscirete ad evitare le bestialità o gli slogan da campagna elettorale, se non sarete in grado di mostrare umanità, nemmeno oggi, abbiate almeno la compiacenza di regalarci il silenzio.
(di Pierfrancesco Demilito)