Usa, condannato a 30 anni per aver infettato l’HIV ai suoi partner
Nel gennaio 2013, Micheal Johnson, studente universitario al college di St.Louis, Missouri, è stato arresta con l’accusa di aver volontariamente infettato 6 dei suoi partner sessuali con il virus dell’HIV. Secondo la legge dello stato del Missouri, l’avere rapporti sessuali non protetti senza aver dichiarato di essere positivi al virus, è un reato. Dopo due anni, il processo si è concluso venerdì 15 maggio 2015, il ragazzo giudicato colpevole e condannato a 30 anni di carcere, 5 per ogni persona infettata. La pena raddoppierebbe se i casi non verranno considerati in maniera cumulativa.
Johnson è il quinto figlio di madre single. Nato nel 1991, è affetto da una grave forma di dislessia: la sua presenza al college è dovuta a una borsa di studio per il wrestling, in cui eccelleva. Gay, Micheal era attivo su molti siti e app di incontri della comunità omosessuale. Sul suo laptop, al momento dell’arresto, sono stati trovati oltre 30 video che documentavano i suoi rapporti sessuali, con partner sempre consenzienti e che non si opponevano al non utilizzo del preservativo.
Il caso ha fatto molto discutere negli Stati uniti, a causa di una serie di fattori. Il primo, il più importante, è che Micheal Johnson è afroamericano. Secondo gli studi e le statistiche, lo stato del Missouri tende a condannare a pene più severe e più spesso gli uomini di colore rispetto ai bianchi per crimini correlati all’HIV. Un altro punto che ha fatto discutere è la forte dislessia del ragazzo, che, secondo quando presentato dal suo legale, ha giocato un ruolo importante negli eventi che hanno portato alla denuncia e alla condanna: dopo la diagnosi, lo stato del Missouri fa firmare al paziente una dichiarazione, nella quale ci si impegna a rivelare a ogni partner l’essere sieropositivi. In caso contrario, ci si macchia di reato. Secondo l’avvocato del ragazzo, Micheal avrebbe firmato il foglio senza averne compreso il contenuto. Questo aspetto avrebbe posto anche l’università sotto gli occhi della stampa: in caso di possibile semi analfabetismo sembra strano che il ragazzo sia riuscito ad andare al college. Del resto, però, la pratiche dell’elargire borse di studio a studenti solo per le loro prestazioni atletiche è più che comune negli Stati Uniti. Appellandosi alle leggi federali sulla privacy, il college si è rifiutato di fornire i voti e le documentazioni accademiche di Johnson. L’università, come emerso dalle ricerche della piattaforma multimediale Buzzfeed, non è mai stata attiva nella prevenzione dell’HIV. A differenza di altri college americani dove i preservativi sono distribuiti gratuitamente o disponibili per l’acquisto all’Health Center del college, all’università di St.Louis non sono disponibili sul campus. L’unica forma di controllo che il college offre è il test gratuito.
I medi a americani si sono accaniti contro lo studente, dipingendolo come un untore, un mostro che adescava uomini per spargere il virus. Nonostante nel corso del processo non ci sia stato alcun riferimento a tematiche razziali, non può non colpire il fatto che tutti partner di Johnson fossero uomini bianchi. Christine Lemons, la madre di una delle parti lese, Dylan King Lemons, a sentenza emessa ha dichiarato: “La diagnosi di mio figlio è una condanna a vita senza possibilità di appello. Perché Micheal Johnson dovrebbe meritare di meno?”.
La settimana prossima, si avvierà il processo di appello. A prescindere dalle questioni razziali e sociali, una cosa deve colpire e far riflettere: se gli atti sessuali erano consensuali, a prescindere dall’occasionalità dei rapporti, l’unico a essere punito sarà Johnson. Eppure nessuno punterà il dito e prenderà provvedimenti contro un sistema che non fa nulla per educare alla prevenzione e il cui unico consiglio ai giovani per evitare malattie sessualmente trasmissibili è di praticare l’astinenza. (http://www.buzzfeed.com/steventhrasher/how-college-wrestling-star-tiger-mandingo-became-an-hiv-scap#.ua9A07deNl)