La “lumacata” di San Giovanni, tradizioni di Roma sparita
“C’era ‘na vorta tutto quer che c’era…” scriveva Armando Libianchi nel secondo Dopo Guerra, dando vita ad una delle canzoni più celebri della canzone popolare romana. Si cantava di una Roma sparita, distrutta dalla fame e dalle bombe. Di una Roma dell’epoca d’oro, un locus amoenus capace di generare nostalgia anche a chi in quest’epoca poi, non era nemmeno nato. Può essere classificata come una manifestazione ante litteram della nostalgia di un passato mai vissuto di cui parla Bauman, che permea oggi la società liquida in cui viviamo, una teorizzazione accademica del nostrano “se stava mejo quanno se stava peggio”. Oppure magari qualcosa di vero c’è, una volta Roma era davvero diversa, non si vergognava del suo provincialismo, quando era un piccolo paesino stretto stretto attorno all’abbraccio di Piazza San Pietro e del suo coinquilino. Non siamo sicuri che la Roma papalina, la Roma della Grande Guerra, quella del fascismo e poi delle macerie, del Neorealismo e del boom economico, tra Villaggio Olimpico e palazzinari, fosse esattamente un paradiso, ma la vulgata vuole che “prima era diverso, era come ‘n paese”. E ogni paese che si rispetti ha le sue tradizioni, le sue feste e le sue sagre in piazza, il suo santo da festeggiare. E Roma quanto a santi e a piazze non ha nulla da invidiare a nessuno.
San Giovanni è uno di questi, si festeggia il 24 giugno, cioè si festeggiava. Perché Roma poi in fondo, non è un paese, è una città, no una metropoli. Capitale d’Italia, per quanto a qualcuno, eufemisticamente parlando, non piaccia. Meta di turismo e di manifestanti. E allora capita, capita alle grandi città che si riempiono di hamburgheserie, brunch, food market, aperitivi e tendenze vintage importate, di dimenticare quale sia davvero il suo passato. Non un retro scopiazzato da New York, Londra, Parigi o Berlino, bensì storico, autentico. Allora che il 24 giugno è San Giovanni interessa a pochi. Peccato. E no, non per la festa religiosa. Ma per i suoi festeggiamenti profani. Perché si sa, la città all’ombra del “cuppolone”, tra papi, suore, alti prelati e chiese, ha sempre badato poco alla devozione.
Sacro e profano, preti e saltimbanchi, miserere e stornellatori. Così pure la notte di San Giovanni, quella tra il 23 e il 24 giugno, a Roma era la “notte delle streghe”. Secondo antiche tradizioni popolari intrise di venerazione e superstizione, questa notte, considerata la più breve dell’anno, rappresentava un appuntamento fisso per le streghe, che dannate per aver causato la decapitazione di San Giovanni, venivano chiamate a raccolta nei pressi della Basilica dai fantasmi di Erodiade e Salomè, qui celebravano un caratteristico Sabba, per poi sparpagliarsi per la città alla ricerca di anime da catturare. Ma la vera festa più che le streghe la facevano i romani. Cibo protagonista dell’adunata dei cittadini in piazza San Giovanni era la lumaca, mandando giù quest’animaletto con le corna si esorcizzavano dissidi e avversità, molti preferivano portarle direttamente da casa, evitando di incappare in sgradite sorprese a causa di qualche troppo furbo, che avesse spurgato le suddette con eccessiva faciloneria, fatto che sostiene la tesi della celebre diffidenza dei romani. Un ruolo speciale nei festeggiamenti spettava alle donne. Considerate colpevoli del martirio del santo, avevano l’obbligo di restar fuori dalla basilica, per ovviare a ciò, le romane spesso vestivano con abiti maschili fermando gli uomini all’ingresso della chiesa chiedendo loro una “mancia”. Da ogni rione si partiva armati di fiaccole, torce, tamburelli e trombette e si raggiungeva la Basilica, luce e rumore avrebbero tenuto lontane le streghe e avrebbero disturbato il loro lavoro di raccolta di erbe necessarie ai loro incantesimi e si poteva anche fare il bagno nel Tevere. Il tempo della festa era dilatato lungo l’intera nottata, concluso dalla messa celebrata all’alba dal Papa, che lanciava monete d’oro e d’argento, generando l’euforia e il caos tra la folla.
La festa non aveva luogo solo a San Giovanni, anche le zone limitrofe avevano la loro “notte delle streghe”, c’era l’hosteria delle Streghe ad esempio, che si trovava sulla Via Appia, nei pressi della fonte dell’Acqua Santa, alla Salita degli Spiriti, dove si poteva cenare a base di lumache e spesso alla fine, ci si ritrovava a litigare con gli osti, rei di aver riciclato gusci di lumaca vuoti nei piatti degli avventori, riutilizzando quelli svuotati precedentemente da altri commensali.
È la cronaca di una Roma sparita che, lontana nel tempo e nello spazio, diviene epica e quasi leggendaria. È un racconto di una città che non c’è più e chissà se c’è mai stata. A pochi giorni dal 24 giugno, ci si accorge che sono in pochi a ricordare “la lumacata di San Giovanni”. Poco male. San Pietro e San Paolo offrono a tutti l’occasione di ricordarsi di essere romani, di nascita, di adozione, per scelta, per vocazione o per necessità. È festa e a Roma non si lavora. È festa nella città del Papa, che un santo a proteggerla non bastava e ce ne hanno messi due.